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Home » Politica » LETTA E LA MARCIA DEI PROGRESSISTI. PIU’ AL CENTRO O PIU’ A SINISTRA? L’INSIDIA CALENDA

LETTA E LA MARCIA DEI PROGRESSISTI. PIU’ AL CENTRO O PIU’ A SINISTRA? L’INSIDIA CALENDA

25 Luglio 2022

http://www.ildomaniditalia.eu/37451-2/

di Giuseppe Fioroni

Da qui al 25 settembre il messaggio deve essere chiaro. L’elettorato è in grado di capire se la formula di centro sinistra comporta lo spostamento dell’asse politico verso l’uno o verso l’altro dei suoi termini costitutivi. C’è un’Italia che all’ideologia preferisce la concretezza. Bisogna dare risposte alle questioni più stringenti e impegnative, senza giocare sugli equivoci. Calenda si propone come un’alternativa che suscita attrazione, specie nei quadri di partito che provengono dall’esperienza della Margherita. Il discorso di fondo riguarda il futuro del Paese: con o senza Draghi?

Un osservatore esterno guarderebbe all’Italia con sorpresa e stupore. Abbiamo mandato a casa Draghi, senza troppi riguardi, e ci siamo imbarcati in elezioni anticipate che s’annunciano muscolari, per usare un aggettivo educato. Si torna a un bipolarismo che non promette la ricucitura democratica del Paese, ma la radicalizzazione dei suoi bisogni e dei suoi linguaggi. La transizione affidata al governo di unità nazionale non è stata sfruttata, in positivo, per creare le condizioni di una dialettica più matura ed equilibrata tra le forze politiche. Insomma, rischiamo di tornare indietro.

L’azione di Letta ha molti aspetti lodevoli. Non c’è dubbio che la sua volontà di aprire porte e finestre del partito corrisponda a un disegno di rinnovamento, sia nei contenuti che nei metodi. Nulla da eccepire a questo riguardo. Avrei preferito comunque che la sua incoronazione a segretario – il voto in Assemblea nazionale è stato pressoché unanime – imprimesse una immediata correzione alla linea della cosiddetta “alleanza strategica” con i 5 Stelle. La correzione purtroppo non c’è stata. Questo però non incide sulle valutazioni attuali, le uniche in grado di lasciare traccia nel dibattito elettorale. Il problema è che oggi la rottura con il “cattolico democratico” (sic!) Conte vale a livello nazionale, non in alcune regioni importanti come la Sicilia e il Lazio. Ciò rende più debole la proposta del Pd.

Nel breve tempo che ci separa dal 25 settembre il messaggio deve essere chiaro. L’elettorato è in grado di capire se la formula di centro sinistra comporta lo spostamento dell’asse politico verso l’uno o verso l’altro dei suoi termini costitutivi. Le parole devono corrispondere ai fatti e al momento i fatti segnalano che dietro il centro sinistra di nuovo conio fa capolino la vecchia illusione della sinistra di espandersi per emulsione di temi occhieggianti a un certo radicalismo di massa. Del resto, la denominazione “Democratici e progressisti” che Letta propone per queste elezioni, evoca i “Progressisti” del 1994, con la sonora sconfitta del PDS di Occhetto. Non essere smemorati è già una virtù.

Queste sono contraddizioni che non può concedersi un partito desideroso di accreditarsi come forza di equilibrio, capace agli occhi della pubblica opinione di proseguire sulla strada di Draghi. Se il problema è aggregare o riaggregare quel 30 per cento che dal 1948 costituisce il patrimonio elettorale della sinistra, allora più di tanto non serve insistere su ritocchi semantici o iconografici, utili solo in presenza di una diversa filosofia e una diversa strategia politica. Per questo molti quadri intermedi del Pd, perlopiù provenienti dalla Margherita, subiscono l’attrazione di possibili alternative, ad esempio di Calenda e del suo “deutero-riformismo”. Vedono infatti come egli si muove in funzione di una politica meno ideologica e più concreta, con l’obiettivo di “far respirare” un organismo sociale che vive la costrizione di questo bipolarismo.

Mi auguro che il Pd sia pronto a reagire, alzando il tono del confronto, aprendo ai mondi vitali di un’Italia che non si arrende, coinvolgendo nelle sue liste figure realmente rappresentative, legate a comunità e storie di sentimenti politici, come un tempo erano i partiti di popolo. Tra i cattolici circola un desiderio di buona politica e c’è, più in generale, un Paese che vuole o pretende coerenza. Occorre essere sei. Farsi paladini di Draghi nei “giorni dell’ira” e poi, passata l’emozione, lasciar cadere l’idea del suo ritorno alla guida del governo in caso di vittoria, è sintomo di confusione. Altri questo errore non lo commettono: alzano la bandiera di Draghi e annunciano di volere Draghi anche dopo il 25 settembre. Ecco, a forza di volere tutto e il contrario di tutto, in un lungo monologo di autogratificazioni, si corre il rischio di perdere il contatto con la realtà. È tempo di concentrarsi sulle risposte più impegnative e, proprio per questo, più vere.

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