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Home » Territorio » Walter Veltroni: “Una casa emotiva, molto vicina alla sua poetica”

Walter Veltroni: “Una casa emotiva, molto vicina alla sua poetica”

5 Marzo 2022

Su Pasolini a Chia riproponiamo stralci di un approfondito articolo, a firma di Gabriella Massa, pubblicato il 2 giugno 2019 da Roma Slow Tour.

“Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti,/ che io vorrei essere scrittore di musica,/ vivere con degli strumenti/ dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare/ nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto/ sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta/ innocenza di querce, colli, acque e botri,/ e lì comporre musica/ l’unica azione espressiva/ forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà”, così scriveva Pier Paolo Pasolini nel 1966 nel suo Poeta delle ceneri. 

La torre di Viterbo è in realtà la Torre di Chia, o castello di Colle Casale, vicino a Bomarzo, risalente al 1200 e appartenuto, nel corso dei secoli, agli Orsini, ai Lante della Rovere, ai Borghese. Chia è collocata in classica posizione etrusca, sulla cima di un altipiano circondato da orti e pascoli e profonde forre, da cui sale l’impeto dei torrenti che nel Medioevo muovevano le macine dei mulini, di cui ancora oggi restano testimonianze.

Un luogo così ricco di storia e di fascino che il regista non poteva non rimanerne attratto, forse spinto dal desiderio di una vita diversa, più solitaria. Era il 1963 quando Pasolini arrivò in questo angolo di Tuscia e se ne innamorò subito tanto da girarci qualche scena de Il Vangelo secondo Matteo. Per le scene del battesimo di Gesù, infatti, scelse il torrente Castello che scorre sotto la Torre di Chia, nel territorio di Soriano nel Cimino.
Ma solo qualche anno più tardi, nel novembre 1970, dopo vari tentativi, il sogno di acquistare la Torre di Chia poté avverarsi: Pasolini costruì allora, ai piedi della Torre, una casetta di pietra e di vetro mimetizzata fra le rocce e nel verde di un dirupo.

Il progetto della casa per la Torre di Chia
Il progetto della casa per la Torre di Chia, elaborato dall’architetto palermitano Ninfo Burruano, venne presentato da Pier Paolo Pasolini al Comune di Soriano nel Cimino nel mese di marzo del 1971.

Il nuovo corpo a forma di C, con pareti interne vetrate che consentono una introspezione tra i vari ambienti, fu addossato esternamente alla cinta muraria con l’intento di non violare l’area “sacra” del castello. Al progetto, comprendente anche un padiglione per le proiezioni realizzato nelle immediate vicinanze della casa, partecipò anche lo scenografo Dante Ferretti.

Come quella di Malaparte a Capri, anche la casa di Pasolini è una narrazione autobiografica, un vero e proprio luogo dell’anima: in essa il poeta va alla ricerca di intimità, quasi si nasconde, vuole l’erba sul tetto per coprire le tegole, devia il ponticello in legno d’ingresso per salvare una quercia; l’edificio viene realizzato con pilastri rivestiti con legno, pavimenti in cotto, soffitto ricoperto di tavole; le vecchie pareti in peperino vengono lasciate a vista e dalle grandi pareti vetrate la vegetazione entra in casa. Un vero capolavoro di integrazione nel paesaggio. Anche nel restauro della Torre si preoccupò di “rispettare il confine naturale fra la forma della costruzione e la forma della natura circostante“.

La vita di Pasolini a Chia
Pasolini trascorse gli ultimi anni della sua vita a Chia dedicandosi a molte delle sue Lettere luterane ed al suo ultimo romanzo Petrolio (Einaudi, 1992), rimasto incompiuto, perché nel mentre venne assassinato all’idroscalo di Ostia nel novembre 1975. Nel pieno di un autunno inquieto, infatti, dopo essere rientrato da un viaggio a Parigi, si sedette ancora una volta alla guida dell’amata Alfa Romeo GT, per sfrecciare verso Roma, andando incontro al suo tragico destino.

A Chia, a cui dedicò anche un componimento poetico raccolto ne La nuova gioventù. Poesie friulane (1941-1974), vi passava lunghi periodi in solitudine, che però interrompeva volentieri partecipando alla vita del paese o per ricevere gli amici. Come il caso di Walter Veltroni, che andò a Chia come segretario della Fgci romana, insieme a Laura Betti, Bernardo Bertolucci, Ettore Scola e Maurizio Ponzi per realizzare un ritratto del poeta per il cinema, Il silenzio è complicità. Secondo la testimonianza di Veltroni, la casa allora somigliava di più al suo proprietario, ogni stanza affacciava direttamente sull’esterno attraverso una grande vetrata, la cucina era piccolissima tanto non gli interessava, visto che non sapeva cucinare, “era una casa emotiva, molto vicina alla sua poetica“, così la descrive Veltroni.

Inoltre, tanto si prodigò per animare la vita e la tutela di quel mondo immobile che viveva le campagne viterbesi: amava quei luoghi, amava la “bruma azzurra della grande pittura nordica rinascimentale” che avvolgeva Orte, come disse nel docu-Rai “La forma della città” (1973) di Roberto Chiesi. Di Orte amava “la forma perfetta e assoluta» e dell’umile Chia si preoccupava di proteggere «il passato anonimo, popolare” perché è troppo facile, diceva, “difendere i monumenti e le opere d’arte“. Per vedere il documentario dedicato a Orte ne “La Forma della Città”(1973) cliccare qui.

L’impegno civile per la salvaguardia della Tuscia

Pasolini fece molto per il borgo di Chia e per il suo territorio: si recava spesso nelle case della gente e si intratteneva con loro con la sua proverbiale gentilezza, s’impegnò personalmente per ottenere per l’allora Libera Università della Tuscia il riconoscimento statale, creò una squadra di calcio per i più giovani, istituì addirittura un premio per chi lo abbelliva. Nel 1974, infatti, bandì il concorso Case di Chia nel verde con tanto di premi in denaro per stimolare gli abitanti ad abbellire la cittadina riempiendola di lecci, allori, ulivi perché, come si legge nel bando, redatto di suo pugno con le correzioni a margine del foglio: “Chia è sorta disordinatamente… Bisogna urgentemente provvedere a un miglioramento estetico dell’abitato“.

Tutto ciò, dunque, lo fece per amore della Tuscia e per dare un maggiore sviluppo all’Alto Lazio, spendendo pubblicamente la propria immagine, e manifestando a Roma, sotto e dentro la sede della Regione Lazio, a fianco degli studenti viterbesi.

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