di Giuseppe Fioroni
Quando le difficoltà appaiono insormontabili, bisogna mettere in campo una superiore capacità di tenuta. Per riuscirci, in genere, serve la chiarezza dei propositi e la coerenza dei comportamenti. Oggi specialmente l’impegno politico richiede un approccio molto nitido e concreto. Non bisogna alimentare equivoci, altrimenti si diventa complici della propaganda insistente e pericolosa degli avversari. Alcuni esempi aiutano a capire.
La Lega si appresta a raccogliere le firme per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Tra le varie proposte di legge, depositate all’indomani del 4 marzo, balzano agli occhi quelle del deputato Ceccanti e del senatore Cerno, entrambi iscritti ai relativi gruppi parlamentari del Pd, per la medesima revisione costituzionale. Non mi pare convincente questa consonanza di vedute, soprattutto alla luce delle riserve che la cultura riformatrice e democratica -si pensi alla lezione del compianto Leopoldo Elia- ha sempre manifestato nei confronti del presidenzialismo (bandiera tradizionale della destra, a partire dal Msi di Almirante).
Chiarezza e coerenza impongono anche di riconoscere l’usura del progetto del “partito unico” dei riformisti. Oggi, sbrigativamente si tende ad attribuire a Renzi la responsabilità del tracollo elettorale. Si chiudono gli occhi perciò sulle cause più lontane e profonde, come se la sconfitta dipendesse da un problema di comunicazione e da un calo di empatia. In realtà, mentre saliva l’onda degli opposti populismi, capaci comunque di accordarsi in vista del potere, un partito concepito e strutturato come antemurale del berlusconismo non ha retto.
La caduta del “nemico” costituisce la ragione principale della crisi del Pd: non è stata avvertita per tempo la fine del berlusconismo. Se non fosse blasfemo il paragone, oggi si ripete l’errore che portò a sottovalutare l’impatto della crisi del comunismo mondiale, accarezzando l’idea ingenua e fuorviante, dopo la caduta del Muro di Berlino, di un passaggio alla nuova era della democrazia senza nemici.
Abbiamo invece l’incombenza dei populismi. Essi, per vincere, hanno agitato la bandiera della paura e della protesta: contro l’Europa dell’austerità, contro l’invasione degli immigrati irregolari, contro la finanza globalizzata e l’economia della precarietà. Hanno travolto il bipolarismo che opponeva destra e sinistra, dando vita al melting pot di motivazioni variamente post-democratiche. Calenda dice che l’alternativa consiste nella costruzione di un “fronte repubblicano”, superando il Pd; Veltroni, invece, suggerisce di rinvigorire l’albero delle origini, per dare alla sinistra l’ottimismo perduto della sua volontà di soggetto storico del cambiamento. Tutt’e due, in verità, assegnano a Gentiloni il compito di guidare la nuova fase: con quale coerenza d’indirizzo e di condotta, se rimangono diversificate le proposte?
L’idea del “fronte” potrebbe andar bene, anche se ricorda la politica del frontismo e dunque la sinistra stalinista dell’immediato dopoguerra. Andrebbe bene se fosse un modo per attingere al “riformismo reale” del nostro paese, quello che unisce De Gasperi e Moro a Einaudi e La Malfa, senza dimenticare la tradizione socialista democratica (da Saragat al Nenni del centrosinistra). Se l’operazione anti-populista non passa attraverso una “rigenerazione delle identità”, il rischio è di opporre confusione a confusione, a tutto danno del paese. Alla fine, ma certamente, in questo sforzo di chiarificazione, nemmeno può valere che tutto cambi e il Pd resti eguale a se stesso, rinunciando a identificarsi con il nuovo “riformismo reale” del filone democratico popolare e liberal-sociale.
https://www.huffingtonpost.it/giuseppe-fioroni/la-sfida-dei-populismi_a_23447713/