“Sì, sono stato io a sparare”.
E’ quanto ha detto Claudio Cesaris, il 68enne accusato dell’omicidio del docente dell’Unitus Dario Angeletti, al gip Savina Poli, che lo ha ascoltato nell’interrogatorio di garanzia. Da quello che riferisce il suo legale, Andrea Fabbio, l’uomo si sarebbe poi disfatto dell’arma del delitto. Rigettata la tesi della premeditazione, ha raccontato di essere stato colto da un raptus dopo un colloquio con Angeletti avvenuto in maniera del tutto casuale e senza appuntamento. Avrebbe inoltre detto di non averlo mai conosciuto personalmente.
Si è trattato di una ricostruzione lucida, ma sono molti i punti che non convincono i magistrati. In ogni caso, Cesaris ha confermato agli inquirenti di aver avuto una relazione sentimentale con la ricercatrice di Pavia per circa quattro anni (come si sa, è stata la gelosia per quella donna ad aver scatenato il raptus). Ha quindi spiegato di non essersi mai rassegnato alla fine di quella storia, coincisa con il trasferimento di lei a Viterbo dopo aver vinto un concorso come ricercatrice al dipartimento di scienze ecologiche e biologiche all’Università della Tuscia. Da qui la decisione di seguirla, prendendo in affitto una casa a San Martino al Cimino a poche centinaia di metri da quella della donna.
Al magistrato l’indagato ha quindi detto di non aver mai conosciuto di persona Dario Angeletti, ma di averlo visto spesso in compagnia della ricercatrice. Per questo motivo si era convinto del fatto che il docente tarquiniese fosse un ostacolo tra lui e lei.
Non convince del suo racconto in particolare la spiegazione data circa la pistola utilizzata per uccidere il professore. Pistola che i carabinieri non hanno ancora trovato. Avrebbe dichiarato di averla trovata in un luogo lontano da Viterbo e di essersene poi disfatto dopo il delitto.
Cesaris nei prossimi giorni lascerà l’ospedale per essere trasferito presso la casa circondariale di Mammagialla.