Giuseppe Fioroni scrive ad Enrico Letta – Caro Enrico, vorrei attirare la tua attenzione sul rischio di inciampare lungo il sentiero degli imminenti rinnovi dei presidenti e dei consigli provinciali. Se ci facciamo prendere dall’attivismo combinatorio, confondendolo con la sana e autentica strategia delle alleanze, potremmo andare incontro a forti delusioni. Le ultime elezioni regionali e comunali hanno dato un esito abbastanza soddisfacente per il Pd, vista l’affermazione, in molti casi, delle sue liste e dei suoi candidati.
Ne ha tratto indubbiamente beneficio l’intero centro-sinistra, malgrado venga esso percepito in questa fase come un aggregato ancora informe. Bisogna cogliere i segnali di cambiamento, interpretandoli correttamente e usandoli saggiamente, a prescindere dalle convenienze reali o apparenti che le circostanze suggeriscono. Nella responsabilità di un grande partito non prevale l’effimero e il contingente, ma l’indirizzo dotato di coerenza. A Viterbo, per esempio, si annuncia la sperimentazione di un’alleanza a dir poco pasticciata, per di più gestita sottobanco, con il Pd che rinuncia al suo candidato alla guida della Provincia per coprire un disegno che prova ad “agganciare” i moderati investendo sul rapporto con Forza Italia. Sembra di capire che nelle intenzioni dei vari interlocutori – e tra questi anche i rappresentanti dei 5 Stelle – ci sia un obiettivo ambizioso, quello cioè del possibile rimescolamento di carte, in particolare tra progressisti e moderati, sull’onda dell’immancabile appello alla solidarietà nel frangente più delicato della nostra vita politica nazionale e locale.
Tale nobiltà d’intenti si scontra però con l’evidenza di un approccio tattico che esonda dal sano pragmatismo e finisce, vuoi o non vuoi, nell’abituale prassi trasformistica della vecchia Italietta… di provincia.
Dietro i buoni propositi fa capolino una strana combinazione di interessi, sì legittimi, ma che permette al gruppo dirigente di Forza Italia di sfruttare l’inaspettato sostegno del Pd. Pertanto, in elezioni di secondo livello, quali sono per l’appunto le elezioni provinciali, si vota in modo opposto al primo livello: guadagnato il consenso popolare su una linea alternativa a Forza Italia, lo si spende subito appresso, nei Consigli comunali, per favorire le ambizioni di Forza Italia. Da ciò non può che scaturire un riflusso polemico dell’elettorato, incrementando le ragioni dell’astensionismo. Un errore imperdonabile!
Ora, Viterbo è un caso isolato? A me risulta di no, anzi fa parte, se posso esprimere un sospetto, della plateale tendenza al travisamento di ciò che dovrebbe rappresentare sui territori la genuina volontà di apertura del centro-sinistra. Non si comincia dal basso, qualunque sia la retorica che ne accompagna il facile richiamo: in realtà, si deve cominciare dall’alto. Aveva ragione Moro quando opponeva il suo netto rifiuto alle pressioni di Scelba per sottoporre, in via preventiva, al vaglio di sperimentazioni locali la storica prospettiva d’accordo tra cattolici e socialisti. Quanto più era seria e impegnativa l’opzione dì centro-sinistra, tanto più s’imponeva, nella visione morotea, l’esigenza di una profonda condivisione di valori e programmi nella logica dì un’alleanza a carattere strategico, per garantire la sostenibilità dì lunga durata del progetto politico.
Se si vuole davvero cambiare registro, per spostare in avanti gli equilibri e produrre la ricerca di nuove aggregazioni, quel che conta è il percorso da identificare con chiarezza e onestà d’intenti, senza la dubbia cosmetica di avventure caso per caso, lontano dal controllo della pubblica opinione. La lezione dì Moro ci deve guidare nel comprendere che le accelerazioni e le scorciatoie sono destinate a confondere le idee, minando la credibilità di un rinnovamento, tanto evocato quanto bistrattato, della democrazia del nostro Paese.