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Home » Opinioni » Fioroni: “Il Pd è a un bivio. Restare un partito del centro sinistra o tornare il partito della sinistra?”

Fioroni: “Il Pd è a un bivio. Restare un partito del centro sinistra o tornare il partito della sinistra?”

8 Marzo 2021

Da globalist.it riprendiamo e pubblichiamo un’intervista a Giuseppe Fioroni

A Zingaretti di dare le dimissioni non lo ha chiesto nessuno – premette l’ex ministro della Pubblica Istruzione rispondendo all’Agenzia SprayNews – Ha una maggioranza dentro il partito dell’ottanta per cento e controlla saldamente tutti gli organismi dirigenti. Personalmente avrei usato toni diversi. La comunità di donne e di uomini del Pd, al netto degli errori e delle divergenze, è comunque una risorsa per il Paese e va sempre tutelata. Nessuno, lo ripeto, ha chiesto le dimissioni del Segretario, ma un nodo di fondo esiste e va sciolto al più presto.
E quale è questo nodo?
Siamo di fronte a un bivio. Dobbiamo capire se l’impostazione originaria, che faceva del Pd un partito nuovo, sintesi delle culture più significative del Novecento, è ancora valida e condivisa. La sua vocazione maggioritaria non era fondata solo sulla legge elettorale. Era l’espressione della capacità di rappresentare la complessità della società italiana, mettendo insieme i bisogni e le speranze di chi ha un cuore che batte a sinistra e di chi ha un cuore che, usando la vecchie categorie, batte al centro, quello composto dai cattolici democratici, dai liberal democratici e dai riformisti. Dobbiamo decidere se questa impostazione è ancora valida. E’ legittimo che qualcuno pensi di farne una cosa diversa, non un partito di centro sinistra, ma il partito della sinistra. Se si vuole far questo, è cosa distinta e distante dal partito democratico, da quello che c’è scritto nella carta dei valori e nello statuto. Intorno a questo bivio si gioca la vera partita ed è necessario un confronto per decidere se ancora siamo convinti della scelta del Pd o se, invece, si vuole ritornare alla sinistra, come era.
Due anime o l’anima solitaria della sinistra tradizionale?
Il Pd di Veltroni non aveva due anime, ma molte di più. Aveva l’ambizione di rappresentare tutta la complessità della società Italiana. Guardando senza pregiudizi e preclusioni a tutti quelli che erano dentro le vecchie categorie della sinistra, del cattolicesimo democratico, dei liberal democratici, dei riformisti e, oggi, della nuova generazione dei democratici. Un’unica anima che butta il cuore oltre l’ostacolo. Così eravamo, così siamo nati. Questo era ed è per me il Partito Democratico. Pensarla diversamente è legittimo. Una cosa che, però, non si può fare, e sarebbe un gravissimo errore, è pensare di poter definire chi siamo, l’altezza delle nostre ambizioni e il coraggio del nostro progetto iniziale, in base a chi scegliamo come alleato. 
Il responsabile per il Lavoro del Pd Marco Miccoli mi ha detto che Zingaretti ha fatto bene perché dello stillicidio quotidiano non se ne poteva più. E ha fatto tanti nomi: Nardella, Gori, Bonaccini, Orfini, Delrio, Marcucci. Tutti a sparare, ha detto, contro una linea decisa insieme…
Guardi, io ho grande rispetto delle opinioni di tutti, ma non possiamo parlare di quesiti marginali. Il vero nodo è quello che le ho detto: partito di centrosinistra o partito della sinistra. Nella prima ipotesi l’alleanza con i Cinquestelle tatticamente può essere utile per fare un pezzo di strada insieme, ma non può essere sufficiente perché dobbiamo avere più coraggio e ambire a rappresentare anche quei mondi che vanno oltre la sinistra. Non possiamo allearci strategicamente solo con la parte che sembra esserci più vicina. Il nodo va risolto, senza attacchi e scomuniche. E poi, questo vale per tutti, non solo per Zingaretti. Siamo passati, in pochi giorni, dal motto “o Conte o morte”, ripetuto da molti, non solo dal Segretario a “Conte è la nostra morte”, dopo aver letto i sondaggi successivi alla scelta di Conte di mettersi alla testa dei Cinquestelle. Non si può far finta di niente. Bisogna discuterne, senza cercare i colpevoli. O, peggio ancora i congiurati. Tutto ruota intorno a un’unica scelta. 
Ora come si rimettono insieme i pezzi del giocattolo rotto?
Io posso dirle, a questo proposito, che mi viene da ridere quando si usa la categoria degli ex renziani. Le categorie non aiutano. Servono a rimarcare le linee di demarcazione della diversità, che prima o poi ti accompagnano alla porta. Io credo che nessuno che abbia fondato il Pd deve essere accompagnato alla porta. Noi dobbiamo avere la capacità di ritrovare le ragioni istitutive del Pd o decidere, senza giri di parole, che abbiamo cambiato idea. In quel caso io non me andrò dal Pd, mi cacceranno e ne prenderò atto. Che altro dovrei fare? Ci sono, però, ancora i margini per evitare ulteriori scissioni e ulteriori marginalizzazioni. 
La scissione è un pericolo reale?
Il pericolo maggiore è un altro. Se Il Pd dovesse rivelarsi inadeguato rispetto a quelle che erano le aspettative dei cittadini, il rischio è che altri ne occupino gli spazi. In politica funziona da sempre così. Ci vuole chiarezza e decidere, una volta per tutte, che cosa si vuole fare. Fare il Segretario del Pd è un lavoro pesante e complesso, ma comporta il dovere di essere all’altezza del coraggio delle donne e degli uomini, che negli anni lo hanno prima fondato e poi sostenuto, e di verificare fino in fondo se sopravvivano o meno le ragioni di quel disegno originario. 
Che cosa la fa più arrabbiare della diaspora che scuote il Pd fin nelle fondamenta?
Da quando sono nel Pd, vengo sempre visto come uno con le valige in mano. Dovrei essere perennemente arrabbiato, visto che sono andati via D’Alema, Bersani Renzi e io sono ancora qua. Convintamente ancorato a quella scelta e a quel progetto iniziali. Nello specifico della sua domanda, mi inquietano le volatilità delle posizioni. La responsabilità e la coerenza sono virtù importanti. Non si dovrebbero mai accantonare e, tantomeno, barattare.

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