Da huffingtonpost.it riprendiamo e pubblichiamo
di Giuseppe Fioroni
Con Zingaretti siamo stati leali. D’altronde, nel partito che già nel nome si proclama “democratico” il confronto interno rappresenta la normalità. Anzi, è la conferma più immediata e sincera del suo proporsi, sulla scena pubblica e nella quotidiana esperienza degli iscritti, come un luogo di dialogo e partecipazione. Non siamo un partito personale, non facciamo i congressi per finta, non rinunciamo alla libera discussione: in positivo, di fronte alle difficoltà, abbiamo il vantaggio di condividere una medesima sensibilità.
Quando è sorto, nel 2007, il “partito unico del riformismo” ha rotto lo schema del vecchio bipolarismo. L’operazione incrociava il bisogno di rinnovamento del Paese. Quella che Veltroni chiamò la vocazione maggioritaria corrispondeva alla volontà di rendere nclusiva la proposta del centro-sinistra. Tutto era meno che l’arrocco nelle mura del vecchio quadro politico. Può darsi che fosse un’ambizione eccessiva, senza la dovuta preparazione, ma indubbiamente suscitò entusiasmo. Poi, strada facendo, abbiamo inanellato errori: come possiamo ritrovare lo spirito delle origini in un contesto che denuncia un calo di orgoglio e razionalità?
La soluzione Draghi, giunta alla fine di una crisi che stava debordando nel caos, oggi comporta una più alta assunzione di responsabilità. Immaginare che il sostegno politico all’azione ricostruttiva del governo passi per il coup de théâtre delle Sardine o il soliloquio – forse sarebbe meglio dire vaniloquio – di Grillo è puramente insensato. Si tratta piuttosto di risvegliare la volontà di gruppi dirigenti consapevoli e preparati, con l’obiettivo di “portare legna” a questa causa di riallineamento dell’Italia all’Europa più dinamica e robusta. La centralità di una forza politica sí calcola pertanto nel di più o di meno che struttura una politica a larga base popolare, senza l’eccipiente degli ideologismi fuori tempo. Stupisce, a riguardo, che nel Pd sì agiti lo spauracchio dei moderati nella scriteriata supposizione che a lisciare il pelo a un populismo leggermente più aggraziato ci si guadagni in credibilità e consenso elettorale.
Non ci dobbiamo illudere. Quando dovesse emergere la sensazione di inadeguatezza del Pd, sicuramente qualcosa di nuovo e di diverso verrà a colmare lo spazio lasciato vuoto. Per questo è necessario fornire una risposta seria alla pubblica opinione. Alle volte i miracoli avvengono, anche nella vita politica. E il miracolo non sta nel fatto che ciascuno di noi ritrovi il calore della propria Itaca perduta, ma nella capacità di credere a uno sforzo comune di elaborazione e di sviluppo, riallacciando i fili delle culture democratiche che hanno fatto la storia – quella vera – del riformismo italiano. Ecco, allora, che l’Assemblea nazionale si carica di attese formidabili. Guai a scivolare nel pantano delle illusioni e delle ambiguità, magari dando credito all’ipotesi di una leadership di mera transizione, sagomata sul manichino del progressismo immaginario, inabile alla concretezza della scommessa che gli eventi hanno caricato sulle spalle di Draghi. La svolta è nelle cose, il Pd non può ignorarne l’importanza fingendo a se stesso, ovvero alla propria coscienza collettiva.