“Non è vero che la riapertura dell’ospedale di Ronciglione sarebbe possibile solo modificando il decreto ministeriale 70 del 2 aprile (regolamento recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera)”.
Lo manda a dire il Comitato per il Sant’Anna in risposta ad alcune interpretazioni sulla vicenda uscite in questi giorni: “Basta leggerlo, questo decreto – si afferma in una nota – per comprendere che si tratta di linee guida che servono ad unificare, su tutto il territorio nazionale, le prestazioni sanitarie minime esigibili, da un cittadino, in qualunque regione si trovi”.
Per ciò che riguarda Ronciglione, fa notare il Comitato, bisogna leggere il punto 9.2.2 (presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate) che prende in esame tutte quelle situazioni “che esistono in molte regioni di presidi situati in aree geograficamente e metereologicamente ostili o disagiate, tipicamente in ambiente montano o premontano con collegamenti viari complessi e conseguente dilatazione dei tempi, oppure in ambiente insulare”. “Sembra quasi – nota il Comitato – che sia stato scritto pensando a Ronciglione”.
“In tali presidi ospedalieri (quelli delle zone disagiate) – recita ancora il decreto – occorre garantire una attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto”. “Il punto seguente dell’allegato I (9.2.3) – sempre il Comitato – specifica meglio questa concetto laddove parla di ospedale sede Dea di I livello e di Spoke. Il punto, pur prevedendo un bacino di utenza di 150.000 persone minime (quindi ben lontano dalle 70.000 del bacino naturale dell’ospedale Sant’Anna), mette in evidenza quale sia il modello operativo da seguire: precisamente quello denominato hub & spoke, in funzione del quale una struttura centrale di livello superiore (hub) si articola con differenti strutture periferiche (spoke). Cosa che peraltro già succede con gli ospedali di Civita Castellana e di Tarquinia. Ebbene analizzando questo aspetto si osserva che l’azione della Asl di Viterbo, non solo sembra non prendere in considerazione il disposto del dm 70 (per essere più precisi: lo prende in considerazione solo per quanto riguarda gli aspetti economici), ma va in direzione contraria allo stesse disposizioni. Questa è la ragione per cui tutto il quadrante Sud della Provincia di Viterbo rimane sguarnito di servizi di attenzione assistenziale. Se si traccia una linea da Tarquinia (Ovest) fino a Civita Castellana (Est) si osserva l’assenza di servizi ospedalieri in un ambito territoriale di ben 15 comuni, per un totale di poco più di 70.000 persone”.
La conclusione: “Dire che questa situazione è causata dal dm 70/2015 è un’affermazione non vera che contraddice il testo stesso del decreto in tutti i punti in cui fa espresso riferimento alla rete territoriale di servizi sanitari senza i quali il modello proposto non riuscirebbe a sostenersi. Ripetere come un mantra che bisogna modificare queste testo per ottenere la riapertura dei presidi ospedalieri potrebbe anche avere un senso ad una condizione. Quella di rispondere alla seguente domanda: prima di proporre la revisione del decreto ministeriale 70 del 2 aprile del 2015, non sarebbe il caso di applicarlo?”.