La direzione nazionale del Pd esprime a larga maggioranza l’indicazione a votare sì al referendum per la riduzione dei parlamentari, ma allo stesso tempo fa salve le posizioni di quanti, come in primis i cattolici popolari, si schierano per il no. E’ accaduto durante la riunione di stamattina, dove è stato tenuto distinto il voto per la relazione del segretario Nicola Zingaretti, che ha invitato a votare sì, da quello per l’odg sul referendum. Una distinzione apprezzata da Giuseppe Fioroni dato che, ha spiegato, “il referendum non può riguardare il governo e per questo mi ha meravigliato la presa di posizione del presidente Conte”. Fioroni è tra gli esponenti dem intervenuti per formalizzare il no.
“Se esiste il principio di prevenzione nella nostra vita – ha spiegato Fioroni -nel caso del referendum, riguardando la qualità della nostra democrazia, credo sia utile applicare il principio di precauzione che sicuramente è ben espresso dal no”. “Mi auguro che il presidente Zingaretti – aveva detto ad inizio intervento – in ragione di quella unità che dobbiamo continuare a perseguire dopo il 21 settembre tenga conto dell’ampio schieramento del cattolicesimo democratico di questo Paese, da figure di primo piano del mondo politico all’associazionismo e al mondo accademico, che ha espresso fortemente il proprio favore per le ragioni del no. Un no senza secondo fini, ma solo per profonda convinzione valoriale e di principio di cui invito il segretario Zingaretti, per il futuro, a tener conto”.
“Questa direzione – ha ancora spiegato – costituisce un passaggio difficile nella vita del Partito democratico. Siamo considerati e giudicati per il carico di responsabilità che sovrasta persino il consenso e la fiducia finora accordati dall’elettorato. Restiamo infatti inchiodati a rapporti di forza che frenano l’impegno in direzione di una maggiore autonomia. Sembriamo comunque subalterni al M5S. Arriviamo a mettere sul tavolo il sì al referendum – ha aggiunto – con una diffusa sensazione, specie tra i quadri intermedi del partito, che trattasi di un gesto non corrispondente alla migliore tradizione del riformismo democratico e popolare. Desidero segnalare, a riguardo, che pur nella disarticolazione di antiche appartenenze, si manifesta nel tessuto civile e culturale del cattolicesimo italiano, se non altro nel complesso delle sue più valide figure pubbliche, un largo sentimento di ripudio verso la logica che anima la richiesta di conferma di quanto la riforma disciplina. In questi ambienti il sì non convince. E ciò sarebbe sbagliato interpretarlo come un sussulto di conservatorismo, quasi che la demarcazione tra il sì e il no segnasse il confine tra genuini artefici del nuovo e avvizziti difensori del vecchio. Anzi, la scelta del no appare contrassegnata dal desiderio di ripristinare un discorso riformatore più autentico e persuasivo, tanto da coinvolgere su questa linea le espressioni di una vasta tradizione di pensiero democratico, fuori dallo schema di guelfi e ghibellini. Non dobbiamo chiudere gli occhi sulla diaspora che investe la nostra area di riferimento, con possibili ripercussioni future. Ciò rischia nelle concomitanti elezioni regionali e comunali di trasmettere un messaggio che fa della difficoltà sul referendum – difficoltà degna, come ho detto, di rispetto – un fattore di disagio per chi combatte in prima linea. Nulla vietava o nulla ancora vieterebbe di essere più aperti, magari più flessibili, lasciando libertà di voto. Certo, in astratto la libertà di voto esiste a prescindere dalla volontà di un partito; ma in questo caso, evidentemente, un siffatto indirizzo farebbe intendere come la nostra coscienza politica si fa carico della scombinata fattura di questa prova elettorale. Attorno al segretario ci siamo tutti. Solo, per prudenza, ameremmo sperare in una più severa attenzione critica, per non trovarci impreparati dinanzi alle scosse di assestamento del dopo elezioni. L’unità vale per l’oggi e vale soprattutto per il domani, sapendo comunque che avrà maggiore robustezza a misura della serietà di un discorso politico rivolto a soddisfare non le nostre ansie di sopravvivenza, ma gli interessi generali dell’Italia”.
Il punto, secondo Fioroni, è dunque che il Pd non deve essere subalterno al M5S, come purtroppo l’adesione al sì lascia intendere, manifestando nei confronti di un’ampia fetta di elettorato una palese debolezza: “Il Pd ha responsabilità di guida, non può apparire subalterno al M5S: è per questo motivo che il no al referendum è legittimo”.