Da huffingtonpost.it riprendiamo e pubblichiamo l’articolo a firma di Giuseppe Fioroni.
Quando si arriva a denunciare l’offesa, ovvero l’attacco smaliziato di cui si percepisce l’insidia a tutto campo, vuol dire che l’ombra del regresso involontario minaccia l’esistenza di un partito. Senza dubbio, da versanti opposti, piovono sul Pd critiche pesanti, spesso ingiuste, per non dire gratuite.
Ciò non toglie che bisogna mantenere i nervi saldi, dal momento che una reazione in apparenza orgogliosa, ma nella sostanza altera o spocchiosa, genera nella pubblica opinione più dubbi che apprezzamenti. Capisco dunque l’uscita di Bettini, quel “grido di dolore” che risuona nelle sue parole a difesa della onorabilità del gruppo dirigente del Pd, tanto da mostrare, oltre a perdita di pazienza, anche volontà di dar battaglia, per non essere travolti.
Tuttavia, in questa fase della vita politica nazionale, una pura esibizione muscolare di per sé non risolve il problema di come salvare il ruolo del Pd nel crogiolo di una crisi senza precedenti.
Dare l’idea che si è pronti anche a giocare la carta dello scioglimento traumatico delle Camere, qualora in particolare non cessasse la tensione tra il Pd e i suoi alleati, comporta una impercettibile ma pericolosa secessione dal ruolo di equilibrio e responsabilità finora ritenuto emblematico della politica del Nazareno.
Si tratta, insomma, di frenare l’istinto che porta giustamente a far da scudo alla capacità di rappresentanza del partito, immaginando così di contrastare i tentativi di abbassarne la credibilità nel rapporto con l’elettorato, specie quello più sensibile alla stabilità di governo. L’ipotesi di elezioni anticipate, anche solo vagheggiata, desta fatalmente un certo allarme.
I prossimi mesi avranno bisogno di concordia, altrimenti le risorse messe a disposizione dall’Europa potrebbero incagliarsi nel nullismo delle controversie. Dunque, il richiamo alle urne costituirebbe un trauma, come sempre; per giunta, in questa circostanza, decreterebbe lo scollamento del sistema, con gravi ripercussioni sulla immagine dell’Italia nel mondo.
In questo dibattito risuonano voci molto differenti. Si distingue per esempio Bonaccini e lo fa, da par suo, con l’ansia di sottrarre il Pd all’abbraccio del populismo. È debole però una proposta che ingloba tale aspettativa nell’involucro del Sì al referendum. Solo chi vota No dimostra, in realtà, di voler restituire al partito una sua relativa e pur tangibile libertà di movimento. Una libertà che vale come sforzo costruttivo, per rendere più forte l’azione riformatrice.
Ora però, dinanzi a un quesito che riguarda la riforma della composizione del Parlamento, abbiamo accettato o sostenuto l’irruzione sulla scena del capo del governo. Conte, infatti, ha voluto dichiarare il suo appoggio – istituzionalmente fuori luogo – al taglio della rappresentanza parlamentare. Era invece opportuno mantenere il giusto distacco dalla competizione referendaria, così da tenere il governo al riparo dal contenzioso che di solito produce il risultato delle urne.
La base del Pd è largamente orientata a votare No: da ciò deriva, piuttosto che un implausibile desiderio di instabilità, la netta convinzione che mettere un freno al populismo faccia bene al Paese.
Noi saremo più rispettati, e quindi più garantiti dagli attacchi pretestuosi, se daremo al Pd l’imprimatur di partito dinamico e nondimeno equilibrato, non assoggettato cioè alle contorsioni dell’antipolitica. C’è un’Italia che aspetta il passaggio a nuove mete di responsabilità – lo sguardo rivolto soprattutto ai giovani – per uscire dalla bufera provocata da un’imprevista e drammatica crisi sanitaria.
Un’Italia che può riconoscersi nel Pd, a patto che il Pd si riconosca nel moto di riscatto dal mix di incompetenza e inconcludenza. Dietro il No al referendum si palesa la volontà di correggere la curva del declino, opponendo al pessimismo e alla rassegnazione la forza della sana politica riformatrice.
Se vince il No, vincerà anche una prospettiva di rafforzamento del quadro politico nazionale. Il fantasma delle elezioni anticipate configura l’errore di una scomposta esigenza di rassicurazione, senza che si evidenzi la consapevolezza di essere al sicuro grazie unicamente alla nitida opzione antipopulista.