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Home » Italia » Altro che golden power. Su Tim la soluzione è diversa

Altro che golden power. Su Tim la soluzione è diversa

25 Agosto 2020

Da huffingtonpost.it riprendiamo e pubblichiamo un intervento di Giuseppe Fioroni

L’Italia ha bisogno di mettere a valore la forza e la credibilità del suo vitale apparato industriale. L’economia digitale rappresenta una scommessa che non consente approssimazioni, ambivalenze e peggio ancora opportunismi. Le grandi scelte richiedono efficaci manifestazioni di lungimiranza e responsabilità.

Uno scontro sulla banda larga, con rigurgiti di paleo-statalismo, non darebbe quel riscontro di serietà e rigore che il governo ha il dovere di assicurare, anche al di là delle ristrette valutazioni di parte. Occorre persino uno sforzo che sottragga alla logica della contrapposizione tra maggioranza e opposizione il disegno di una nuova politica di sviluppo.

Innanzitutto serve far chiarezza per evitare che tutto si riduca a vuoti enunciati partigiani. Il dibattito in corso sul futuro della rete unica nazionale è divisa tra chi propende verso la creazione di nuova società a maggioranza pubblica e chi, invece, vedrebbe la nuova società della rete unica a maggioranza TIM.

I primi sostengono che solo una società aperta a tutti gli operatori privati, a guida statale e proprietaria di un’infrastruttura attiva esclusivamente sul mercato all’ingrosso (c.d. wholesale only) sarebbe idonea a garantire le condizioni competitive del mercato. Tale scuola di pensiero si contrappone al progetto avviato proprio da TIM, che lunedì prossimo getterà le basi per creare sì una società della rete, ma di cui essa stessa manterrà la maggioranza.

Tale iniziativa avverrà per mezzo dello “scorporo” dell’infrastruttura di rete di accesso dal resto dell’azienda, e la conseguente creazione di “Fibercop”, una società separata che vedrà la partecipazione del fondo americano KKR e dello storico concorrente Fastweb. I perplessi a una soluzione di questo tipo puntano il dito sul fatto che una società della rete così congeniata, seppur separata e partecipata anche da altri soggetti e con un cda autonomo, risulterà sempre a maggioranza TIM, che sarà così attiva sia nella gestione della rete che nella fornitura di servizi al dettaglio su di essa veicolati, eredità dell’era monopolistica.

In definitiva, il vero rischio di mantenere (e anzi far crescere, con una ipotetica successiva fusione con Open Fiber) un operatore verticalmente integrato metterebbe a dura prova il principio di non discriminazione e di parità di trattamento degli operatori alternativi all’incumbent. A parere di alcuni, l’extrema ratio per mettere in standby il progetto di TIM-KKR sarebbe l’esercizio della Golden power che, in assenza di un progetto politico chiaro, altro risultato non otterrebbe che rendere incomprensibile agli occhi degli investitori stranieri la visione industriale (al momento assente) sul futuro digitale del Paese.

In questi giorni si è discusso di svariati temi (ingegnerie societarie, problematiche antitrust) ma nessuno è riuscito a fornire una soluzione capace di coniugare l’interesse pubblico con le giuste aspettative di un operatore privato proprietario di un asset strategico per il futuro del Paese, ovvero che consenta a TIM – operatore verticalmente integrato – di porsi alla guida della nuova rete unica senza che per questo ne derivi un pregiudizio alla parità di trattamento e alla non discriminazione degli operatori del mercato.

Forse è possibile conciliare le due aspettative utilizzando l’Organo di vigilanza sulla parità di trattamento della rete di TIM, un organismo che dal 2008 per volontà di Agcom e in assoluta indipendenza vigila sul comportamento delle funzioni retail e delle funzioni di rete di TIM, garantendo che la società non abusi dell’integrazione verticale a scapito dei concorrenti. Se questo lo si legge in combinazione con la già vigente disaggregazione dei servizi di accesso operata da Agcom nel 2017, si tratta di una soluzione pronta, già attiva, il cui coinvolgimento nel dibattito di questi giorni permetterebbe di avere un elemento in più per dirimere la vexata questio.

L’OdV rappresenta una riconosciuta e apprezzata specificità del nostro sistema regolatorio nel panorama internazionale ed è stata indicata come best practice in tema di equivalence anche dalle autorità europee. Anche il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, di cui si è tanto parlato in questi giorni, lo prende in considerazione, riconoscendolo formalmente e sancendo l’utilità funzionale del modello dell’Organo di vigilanza italiano, anche e soprattutto alla luce della rinnovata e centrale importanza attribuita.

Alla luce di ciò, perché non pensare, dunque, a una rete unica a maggioranza TIM e aperta a tutti gli operatori (pubblici e privati) con un Organo di vigilanza (magari rafforzato in senso pubblicistico) a tutela della non discriminazione e della parità di accesso? A tal proposito è quanto mai urgente avviare un dialogo con TIM e con lo stesso Organo di vigilanza, per comprendere la reale possibilità di inaugurare un innovativo modello di monitoring trustee utilizzando gli strumenti che il Codice europeo mette a disposizione.

Bisogna far in modo, conclusivamente, che si stagli all’orizzonte della pubblica opinione, specie a livello europeo e internazionale, un approccio equilibrato e razionale, con l’intento di proteggere nella maniera migliore l’interesse nazionale.

di Giuseppe Fioroni da huffingtonpost.it

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