Fermare le attività produttive e obbligare le persone a casa a lungo serve davvero a contenere la diffusione del virus? I pareri sono discordanti, come dimostrano ad esempio le misure decisamente meno rigide di quelle dell’Italia adottate dai Paesi del Nord Europa. Ora secondo una ricerca condotta da un gruppo di studiosi europei a guida italiana, la cui notizia è stata ripresa dal Corriere della Sera, solo i primi 17 giorni successivi all’introduzione delle misure restrittive sono determinanti per stabilire quanto si diffonderà il contagio.
La ricerca è stata condotta da un team di epidemiologi, genetisti ed esperti di big data guidati da Stefano Centanni, professore ordinario di malattie dell’apparato respiratorio all’Università di Milano e direttore dei reparti di pneumologia degli ospedali San Paolo e San Carlo.
E’ stata studiata attentamente la curva dei contagi in Italia e a partire da questa è stato sviluppato un modello predittivo delle vittime molto accurato: ad esempio, la previsione per il 18 aprile, indipendentemente dalle misure restrittive, era di 23.873 morti. I casi registrati effettivamente sono stati 23.227, con uno scarto di poche centinaia.
L’andamento dell’epidemia previsto dal modello è risultato coincidere in tutti i Paesi, anche in quelli dove sono state imposte misure restrittive, come detto, meno rigide, come la Germania o la Svezia.
Dall’Italia si è quindi passati all’analisi dei dati di Spagna, Germania, New York e Usa. Il modello predittivo basato sui primi 17 giorni ha dato importanti risultati, mostrando una correlazione tra dati reali e stimati superiore al 99%.
Secondo lo studio quindi le misure restrittive applicate dopo i primi 17 giorni non inciderebbero sull’andamento dell’epidemia e sul numero dei morti.