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Home » Opinioni » La destra inammissibile di Salvini

La destra inammissibile di Salvini

20 Maggio 2019

Da ildomaniditalia riprendiamo e pubblichiamo

di Cristian Coriolano

La destra inammissibile ha il volto di Salvini che invoca la Madonna Immacolata a Piazza del Duomo, dinanzi al popolo leghista, mostrando il rosario tra le dita nel gesto blasfemo di auto benedizione della sua seducente “politica del buon senso”.

Perché inammissibile? Semplicemente perché la politica, soprattutto quella del buon senso, non può scadere di gradino in gradino fino ad attingere alla fonte dell’indistinzione, o meglio della mescolanza, di religione e opere mondane.

Dove si contempla, non certo nel cammino secolare del cattolicesimo sociale e democratico, l’uso della religione quale “istrumentum regni” nella mani del partito? Siamo fuori da qualsiasi parametro di rispetto della buona regola fondata sulla separazione del sacro dal profano. È il rigurgito di un integrismo plateale e finanche scandaloso, per il carico di strumentalità che mette chiaramente in evidenza.

A Milano il monismo sacralistico della bibbia salviniana ha dato anche il là, per giunta, ai fischi rivolti all’indirizzo di Francesco, un Papa sgradito ai sovranisti e perciò meritevole di pubblica contestazione. Dunque, non solo la politica si ammanta di religione, ma entra nella sfera della Chiesa per decretare il placet sull’operato di chi dirige la “barca di Pietro”.

Basterebbe questo, in fondo, per ridare lustro alla unità dei cattolici, ovvero a un atto di solidarietà di popolo – e specialmente di popolo credente – a difesa di quella libertà della Chiesa iscritta nella sana cultura democratico costituzionale della nostra Italia. Di un Paese cioè che il cattolico De Gasperi voleva non più afflitto dagli storici steccati tra guelfi e ghibellini.

Oggi, con Salvini, la nuova politica ghibellina raggiunge il vertice della improntitudine con il suo tentativo di porsi ambiguamente al di là della Chiesa, nonché di riflesso – e non è un paradosso – al di là dello Stato. Tutto si confonde in questa vocazione semi-totalitaria, ancora tollerata e blandita come di volta in volta accade in un Paese che conosce, per dirla con Moro, istituzioni deboli e passioni forti.

Lo spettacolo triste e allarmante obbliga a un soprassalto di responsabilità. Fra una settimana si vota. Ecco, allora, che a Salvini bisogna opporre con scrupolo l’alternativa della serietà e della compostezza. Non appare lecito distrarsi. Dalle urne può uscire un segnale di ravvedimento collettivo.

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