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Home » Società » “Nonostante ostacoli e difficoltà, le imprese femminili hanno una marcia in più”

“Nonostante ostacoli e difficoltà, le imprese femminili hanno una marcia in più”

7 Marzo 2019

Le donne sono una componente sempre più dinamica della società e dell’economia italiana. E nella propensione all’imprenditorialità procedono con maggior scioltezza degli uomini, nonostante le tante difficoltà patite quotidianamente. Lo sottolinea l’indagine su “L’imprenditoria femminile in Italia”, condotta dal Centro Studi Cna.

Solo qualche numero. Lo studio rileva che sfiorano ormai i tre milioni gli incarichi di vertice affidati a donne nelle imprese del nostro Paese. Per la precisione, sono 2.827.515, il 26,7 per cento, con una crescita, tra il 2017 e il 2018, dell’1 per cento (per gli uomini l’incremento si è fermato allo 0,4): la variazione più significativa si registra nel Lazio con un + 2,7 per cento.

La presenza femminile risulta più marcata nel commercio, dove opera il 23,3 per cento del totale. Seguono alloggio e ristorazione (10,5) e manifatturiero (10). Nell’ultimo anno, a colorarsi di rosa sono state soprattutto le attività sanitarie e di assistenza sociale, l’istruzione, le attività legate alla fornitura di energia elettrica, gas e aria condizionata nonché al trasporto e magazzinaggio, le agenzie di viaggio e i servizi alle imprese.

Fin qui i ruoli che le donne occupano nelle imprese. Il focus dell’indagine del Centro studi è, ovviamente, sulle  lavoratrici indipendenti, che sono, in tutto, 1,4 milioni, pari al 14,6 per cento dell’occupazione complessiva nel nostro Paese. “L’analisi trova riscontro nella realtà dell’imprenditoria femminile dei nostri territori”, osserva Daniela Lai, vicepresidente della Cna di Viterbo e Civitavecchia. “Tanti sono, infatti, i fattori di ostacolo. Tra questi, ci sono la difficoltà di conciliare gli impegni familiari con la vita professionale e il persistere di opportunità di guadagno economico non soddisfacenti se considerate sia in termini assoluti che rispetto a quelle maschili. Spesso la burocrazia e proprio la difficoltà di conciliazione sono le cause di discontinuità lavorativa, che si aggiungono a problemi economici legati a pagamenti mancati o in ritardo e ad una fragilità economica diffusa”.

“Ricordo, a tale proposito, anche le conclusioni di un’altra indagine, commissionata da Cna a Swg, dedicata all’accesso al credito. Se è vero che alle piccole imprese il credito è erogato con il contagocce, nella partita con le banche le donne imprenditrici, o aspiranti tali, sono trattate peggio degli uomini anche a parità di condizioni”, aggiunge Lai, che però sottolinea: “Come evidenzia il Centro Studi, nonostante abbiano di fronte ostacoli ogni giorno, le lavoratrici indipendenti italiane esprimono un grado di attaccamento alla loro attività tra i più alti d’Europa, dichiarandosi soddisfatte della propria attività per il 52 per cento del totale, a testimonianza del desiderio naturale e profondo di autonomia e di emancipazione ormai generato dalla parità di accesso agli studi. Una percentuale seconda in Europa solo al Regno Unito, dove però il gender gap risulta essere molto più ridotto. Al legislatore è affidato il compito di rimuovere molti di questi impedimenti, in maniera tale che le donne possano esprimere il loro potenziale all’interno del nostro sistema imprenditoriale”.

E per il superamento del gap di genere che caratterizza l’economia, a livello nazionale Cna Impresa Donna ha presentato un pacchetto di otto proposte. Quattro riguardano le politiche d’investimento: detraibilità al 50 per cento di tutte le spese di cura e di aiuto alla famiglia; riforma dell’indennità di accompagnamento, attraverso l’introduzione della possibilità di scegliere tra prestazioni monetarie e servizi alla persona; riduzione dal 22 al 5 per cento dell’Iva applicata ai servizi di welfare prestati dalle strutture private diverse dalle cooperative sociali e  dai loro consorzi; riequilibrio nella distribuzione dei fondi destinati alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che attualmente vanno per il 90 per cento alle lavoratrici dipendenti e appena per il 10 alle autonome.

Le altre sono riferite alle politiche cosiddette d’azione: maggiore flessibilità nell’offerta di servizi pubblici di welfare, soprattutto rispetto agli orari e alle modalità di erogazione; riconoscimento del “costo” del tempo dedicato alla formazione, consentendo di dedurre dal reddito una somma aggiuntiva rispetto alla spesa sostenuta; incentivi alla creazione di reti territoriali di conciliazione vita/lavoro per servizi di welfare per la famiglia e per l’infanzia che prevedano la collaborazione pubblico/privato; attivazione di un tavolo tecnico permanente presso il dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio sull’imprenditoria femminile e sulle politiche di welfare e istituzione di una Commissione parlamentare bicamerale per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere.

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