Da www.huffingtonpost.it un intervento di Giuseppe Fioroni sull’attuale momento politico.
di Giuseppe Fioroni
Mentre l’Italia patisce i primi effetti della recessione, con la caduta della fiducia dei consumatori e la contrazione dell’export, il quadro politico avverte le prime scosse telluriche. Berlusconi vuole buttare giù l’attuale governo e, per farlo, è pronto a cedere un po’ su tutta la linea a Salvini.
Nell’intervista resa al “Corriere della Sera”, accanto alla reiterazione del mantra sul carattere innaturale dell’intesa giallo-verde, l’anziano leader di Forza Italia fa un’ulteriore concessione dando via libera, qualora fosse questa l’uscita di sicurezza richiesta dalla Lega, alle elezioni anticipate.
In sostanza, Berlusconi corregge il tiro spiegando che la sua precedente affermazione, inerente la formazione di un governo con i possibili transfughi del M5S, può essere superata. Come a dire: “Mi rendo conto che sarebbe una soluzione poco credibile, soggetta alla critica (anche rabbiosa) della pubblica opinione; per questo, una volta messo in crisi il governo e registrata l’impossibilità di costituirne uno diverso, il ricorso anticipato alle urne non sarebbe più un tabù”.
A essere precisi, Berlusconi asserisce che lui e Forza Italia sono (testualmente) “pronti al voto in ogni momento”. Questa dunque è la vera novità. A essa, ancora, non si contrappone una chiara strategia dell’opposizione.
Le primarie del Pd sono fissate al 3 marzo, ma pare che sia una data molto lontana. La percezione vale come e più della realtà. Di fatto l’incertezza dei Democratici autorizza la formulazione di scenari non previsti fino a qualche tempo fa. Qualcosa può accadere al centro, benché rimanga debole il potenziale di consensi.
Dunque occorre accelerare la ripresa di una forte iniziativa politica, aiutando l’azione di Calenda per una “grande lista” europeista e anti-populista. Diversamente, con i distinguo troppo sofisticati e infine aridi del documento dei deputati europei, si andrebbe incontro a una sconfitta del Pd e dell’opposizione nel suo complesso. Accanto a ciò si registra, in una intervista parallela su “Repubblica”, la presa di posizione di un Prodi fintamente distaccato dalle vicende politiche più immediate.
Come Berlusconi, a parti rovesciate, dà mostra egli stesso di credere alla necessità di uno scatto di orgoglio. A suo parere il Pd ha l’obbligo di ritrovare con il congresso e le primarie la sua unità. Meglio, a suo giudizio, se questa unità si potesse organizzare attorno alla segreteria di Zingaretti. Ma forse conta, a una lettura attenta dell’intervista, più il non detto di quel che Prodi formalmente dice.
A cosa dovrebbe essere finalizzata l’unita del Pd? Certamente alla costruzione dell’alternativa all’attuale quadro di governo. Ma come? Ecco il non detto: Prodi lascia che si intuisca il recupero (che altro sennò) dell’ispirazione originaria del Pd e dunque si restituisca alla sua immagina la forza aggregativa di uno schieramento largo, non circoscritto alla ridotta della sinistra.
Maliziosamente si potrebbe anche arguire che le alleanze appaiono suscettibili di improvvise evoluzioni. Se scattasse, infatti, l’intesa tra Pd e M5S (garante proprio il fondatore dell’Ulivo) si potrebbe sbarrare la strada al ritorno della destra tout court, per altro ancora più radicalizzata, alla guida del Paese.
Non può sfuggire a Prodi che un governo insieme ai grillini costituirebbe una deriva incontrollabile per il Pd, forse con il rischio di una ineluttabile e giustificabile scissione.
In ogni caso il casuale botta e risposta, nello stesso giorno, tra Berlusconi e Prodi porta a concludere che non vi è certezza sulla durata di questo esecutivo. Forse i due campioni del vecchio bipolarismo, operante nel corso della cosiddetta seconda Repubblica, non hanno più la forza per controllare gli sviluppi delle loro analisi e delle loro proposte.
Un ciclo si è chiuso e non pare ipotizzabile una ricostituzione della precedente dialettica. Sta di fatto, però, che il ping pong rappresentato dalle uscite odierne segna la fine della strapotenza o strafottenza del governo a guida grillo-leghista.