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Home » Politica » Estorsioni e minacce. Tra le vittime il patron della Viterbese e Ubertini

Estorsioni e minacce. Tra le vittime il patron della Viterbese e Ubertini

26 Gennaio 2019

Dall’assessore comunale all’Urbanistica Claudio Ubertini al patron della Viterbese Piero Camilli, ma anche un avvocato e il direttore delle Poste Centrali.

Ci sono nomi noti in città tra le vittime dal racket della presunta associazione mafiosa smantellata ieri a Viterbo dalla direzione distrettuale antimafia. Tredici le persone arrestate. Per gli inquirenti sarebbero responsabili, a vario titolo, di estorsioni, danneggiamenti, lesioni personali e una sfilza di altri reati fino a quello, appunto, di associazione mafiosa.

A capo di questo gruppo, sempre secondo le indagini, ci sarebbero stati Giuseppe Trovato, detto “Peppino”, 43enne originario di Lamezia Terme, da anni trasferitosi a Viterbo, dove gestisce tre “Compro oro”; e Ismail Rebeshi, detto “Ermal”, cittadino albanese di 36 anni, domiciliato a Viterbo, dove gestisce una rivendita di autovetture e un locale notturno.

A Claudio Ubertini, assessore della Lega, che oltre all’impegno in politica è titolare di uno studio professionale, la banda avrebbe bruciato sotto casa una vettura poco dopo averla acquistata. Una smart.

Più articolata, invece, la vicenda che riguarda Camilli. L’imprenditore di Grotte si sarebbe visto presentare direttamente in ufficio Giuseppe Trovato, accompagnato da Sokol Dervish, un albanese di 33 anni, detto Codino. Trovato, secondo la ricostruzione dei carabinieri, chiedeva soldi a Camilli per avergli risolto una controversia civile, senza che il patron della Viterbese gli avesse avesse dato alcun incarico. Trovato avrebbe affermato di aver sistemato lui la questione: “Voglio solo un bel ringraziamento”, avrebbe detto a Camilli, lasciando intendere che in caso contrario sarebbero potute scattare ritorsioni. Per convincere Camilli a pagarlo, l’uomo avrebbe deciso di intimorire i figli dell’imprenditori con pedinamenti, teste di animali mozzate e appostamenti. Ma a quel punto i carabinieri erano già sulle tracce della banda.

C’è poi la vicenda dell’avvocato Roberto Alabisio, la cui unica colpa sarebbe stata quella di aver depositato la costituzione di parte civile di una sua assistita in un processo a carico di Trovato. Anche ad Alabisio, come ad Ubertini, è stata bruciata una vettura.

In fiamme sempre per mano degli stessi soggetti anche un camion di Roberto Grazini, il titolare della nota azienda di trasporti figura.

Infine, il caso di Luca Boccolini, il direttore della sede centrale delle Poste Italiane, a cui Trovato avrebbe fatto incendiare l’auto della moglie come punizione. Il direttore delle Poste infatti gli aveva chiuso un conto.

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