L’ingresso di Marco Minniti nella corsa per la segreteria nazionale del Pd cambierebbe radicalmente lo scenario sin qui delineato all’interno del partito: si assisterebbe, secondo gli ultimi sondaggi, a un testa a testa tra Zingaretti e l’ex responsabile del Viminale, con quest’ultimo addirittura in leggero vantaggio. Minniti infatti è quotato al 43%, Zingaretti al 41%, poi, molto staccati, arrivano tutti gli altri: Richetti all’8%, Boccia al 6 e Corallo al 2.
Per il presidente della Regione Lazio una notizia molto brutta, tanto più se si considera che lui è in campagna elettorale già da quattro mesi, mentre Minniti deve ancora sciogliere ufficialmente la riserva. Zingaretti, alla luce di ciò, si dimostra dunque sempre meno il candidato giusto per rilanciare l’azione politica del Partito democratico, che con lui sarebbe letteralmente relegato in una sorta di riserva indiana.
A certificare che Zingaretti è tutto fumo e niente arrosto giungono anche i dati romani del congresso regionale: Astorre, nella capitale, ha preso meno voti di Mancini, nonostante avesse schierata dalla sua parte tutta l’artiglieria pesante messa in campo dal partito della Regione. Non c’è stato nulla da fare: ha perso proprio dove il suo mentore, il governatore, lo conoscono meglio, ha perso a Roma, la città del presidente, quella dove è nato e cresciuto. Un bruttissimo presagio, che dovrebbe far riflettere quanti ancora si ostinano a credere che Zingaretti sarebbe in grado di salvare davvero il Pd. La verità è che attorno lui si arroccherebbero soprattutto gli ex Ds, gli altri fuggirebbero e verrebbe completamente a mancare l’allargamento verso strati diversi della società.