Dai Cimini alla Maremma. E addirittura, adesso, fin oltre il lago di Bolsena, verso la Valle dei Calanchi. Tra Montefiascone e Bagnoregio per essere precisi.
E’ arrivata anche a queste altitudini (basse) la coltivazione delle nocciole della Tuscia. L’apparsa dei primi frutteti ha suscitato ovviamente curiosità in una zona, quella dell’Alto Lazio, che per tradizione è vocata alla produzione dell’olio e del vino.
E’ quel fenomeno che Bengasi Battisti – medico, consigliere comunale e membro del direttivo Associazione Nazionale Comuni Virtuosi – ha descritto in un articolo apparso nei giorni scorsi su Dinamo Press, intitolato “La logica perversa della monocoltura”. (CLICCA QUI PER LEGGERE LA VERSIONE INTEGRALE)
“Nel Lazio e in particolare a nord di Roma e nella Tuscia – scrive Battisti – si assiste da anni alla vicenda della patologica diffusione di coltivazioni di nocciole, sostenuta e promossa anche da contributi pubblici. Rappresenta l’evidenza di politiche agrarie poco sensibili alle caratteristiche dei territori e alle coltivazioni tipiche e non invasive. Centinaia di ettari di noccioleti sono impiantati in aree non vocate, che impongono irrigazioni continue con conseguente depauperamento delle falde acquifere profonde. Queste enormi estensioni stanno introducendo quel latifondo monocolturale dove il profitto prevale sul sano rapporto tra agricoltore e natura. Trasformano radicalmente ambiente e economia, mettendo a rischio la salute e la piccola, diffusa e benefica agricoltura di prossimità”.