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Home » Territorio » “Che il cambiamento sia a misura di persona e di piccola impresa”

“Che il cambiamento sia a misura di persona e di piccola impresa”

9 Ottobre 2018
Stefano Signori

Da Stefano Signori* riceviamo e pubblichiamo.

Negli ultimi dieci anni il sistema paese ha pagato un prezzo troppo alto per le politiche scellerate che contemplavano la sola tassazione come capacità di recuperare risorse per i bilanci dello Stato. Ove possibile, le grandi aziende hanno dato come risposta la delocalizzazione della produzione, non per un problema di risorse ma come reazione all’aumento della pressione fiscale.
Il sistema delle gabelle ha deteriorato enormemente il sistema paese, alienando, anche ove non si pensava possibile, soprattutto i giovani che pur col loro ingegno non trovavano neppure la comprensioni del supporto al credito per dar vita alle loro idee. In tale situazione andare all’estero è diventata la loro unica possibilità di veder realizzato il desiderio di una occupazione. Moltissimi di questi giovani spesso sono stati bistrattati in patria, pur con curriculum di tutto rispetto, ma nel loro destino di emigranti sono stati assistiti e collocati in degne attività che, oltre a coronare le loro aspettative, ripagano le loro capacità.
In Italia le aziende che invece hanno scelto di restare, modificando anche strutturalmente le loro finalità. Un esempio di ciò è stato il declino dell’edilizia tradizionale, con il boom delle manutenzioni edili di pregio e delle nuove unità abitative realizzate con criteri sempre più innovativi. L’asticella sulla qualità si è notevolmente alzata anche grazie ad investimenti importanti sulla formazione del personale. Un destino comune anche ad altri settori.
Naturalmente molte società artigianali hanno pagato a caro prezzo questa trasformazione, il che ha portato alla chiusura di decine di migliaia di imprese tradizionali. Quelle che non hanno ceduto alla delocalizzazione e sono rimaste – e sono molte – hanno tenuto puntando a rigenerarsi e a trasformarsi per cogliere nuove realtà ed opportunità, reagendo così sia nel modo che nel senso di fare impresa e società.
Le cosiddette piccole imprese, sia nei fatti che nei modi, hanno trovato con mille scossoni una dimensione sempre più agguerrita e decisa, non soffermandosi sui loro luoghi d’origine ma andando anche oltre confine, specialmente con le produzioni dell’alta moda, del food e dei prodotti artigianali di qualità, arte orafa, vetro, legno, tele e stoffe, e valorizzando così il made in Italy nel mondo.
I rapporti parlano chiaro: le uniche che in questa fase hanno dato risposte importanti sul territorio italiano sono le piccole e medie imprese, creando occupazione e ricchezza per loro e per gli altri. Questo perché le piccole imprese sono fatte di persone e, a differenza del capitale che cerca obbiettivi di solo lucro, le persone crescono anche con la soddisfazione. La differenza sostanziale è questa: l’imprenditore si arricchisce anche di valori etici. La ricetta per il futuro, quindi, rimane quella di ripartire con tutte le micro e piccole imprese, che rappresentano il 99,4% del tessuto produttivo italiano e danno lavoro al 65% degli addetti.
Il cambiamento deve, perciò, essere a misura di persona, di piccola impresa, con leggi chiare, la disponibilità di un credito orientato alla competitività, incentivi per le innovazioni, una formazione compenetrante fra scuola e lavoro, vincoli che superino le vecchie normative funzionali al tempo della loro atavica uscita nel 1985 ma oggi non più così utili. Adesso un milione e trecentomila imprese artigiane dovrebbero rappresentare un numero sufficiente a far rivedere ogni passione per il passato dei mega progetti industriali e a mettere la vera competitività ad uso delle aziende che sono state, sono e saranno, protagoniste nel nostro prossimo paese Italia.

*presidente Confartigianato Imprese di Viterbo

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