“La tessera di cui sta parlando Di Maio – ha scritto ieri pomeriggio su Facebook Nicola Zingaretti – con lo Stato che controlla che cosa le persone comprino o come debbano spendere i soldi è un’idea dei cittadini come sudditi del potere. Come se una persona povera che ha bisogno di una mano sia un indisciplinato da controllare. Non sono per niente d’accordo”.
Il ragionamento in linea teorica non fa una piega, peccato però che la predica non venga dal pulpito giusto. Zingaretti, prima di preoccuparsi delle politiche sociali del vicepremier, dovrebbe infatti spiegare, una volta per tutte, come intende rapportarsi con i 5 Stelle, se verrà, come spera, eletto segretario del Pd. Troppo facile criticare pubblicamente sui social e contemporaneamente tramare dietro le quinte per sottoscrivere alleanze e accordi come sta accadendo in Regione, dove la stampella offertagli dai grillini è un dato di fatto che nessuno può negare. Ci dica, dunque – lo dica con chiarezza a chi chiede il voto – come vorrebbe schierare il partito nell’attuale scacchiere politico nazionale, con chi e come ha in mente di intraprendere un ipotetico percorso per costruire un’alternativa di governo credibile al governo dei populisti, qual è il programma di governo con cui si presenterebbe di fronte agli elettori e quali sono le proposte che marcherebbero la differenza tra una politica di centrosinistra e una politica nazional-populista.
Sappiamo già che Zingaretti anche stavolta non risponderà. Né lo farà a Piazza Grande il 13 e 14 ottobre. Per lui infatti c’è solo una priorità in questo momento: riportare il partito nelle mani degli ex Ds e poco importa, in siffatto scenario, delineare un progetto chiaro ed univoco all’interno del quale collocare le basi per una ripartenza seria del Partito democratico. Zingaretti non prenderà posizione, si muoverà come sempre all’insegna del più vecchio camaleontismo possibile, guardando a sinistra (affidandosi in ciò a quel fido scudiero che è Smeriglio) e allo stesso tempo lasciando le porte aperte (come sta accadendo sempre in Regione) a certa destra; criticherà apparentemente i 5 Stelle, ma non interromperà (anzi lo potenzierà) alcun canale di comunicazione con loro; scenderà a patti sempre più stretti con Franceschini con la speranza di accaparrarsi qualche migliaio di preferenze per le europee e dirà agli ex comunisti che no… non è vero niente… lui lavora per fare un favore al popolo, mica per lui stesso…
Una contraddizione vivente, questo governatore. Dice no ai professionisti della politica, ma poi se guardi il suo curriculum scopri che nella vita non ha fatto altro che il politico di professione: non si ha notizia che abbia mai svolto un lavoro diverso da quello assicuratogli dal partito, né si ha contezza di che cosa potrebbe occuparsi se dovesse lasciare la politica. Una contraddizione, la sua, sfacciatamente ostentata, ma tanto alla gente – così sembra pensarla – in fondo piace essere presa in giro. Non si spiegherebbero diversamente gli attacchi ai capi bastone, salvo poi affidarsi al capo dei capi bastone (Bruno Astorre) per la segreteria regionale e ai piccoli ras di provincia per il governo dei territori. Uno, nessuno e centomila, cioè l’esatto contrario di ciò che oggi servirebbe per restituire coerenza e dignità alla politica.