Dalla lettura del decreto del presidente Zingaretti firmato da ormai 15 giorni senza che sia seguito lo specifico allegato sembra di capire che quest’anno i cacciatori laziali non potranno avere la cosiddetta preapertura, e cioè anche quella già limitatissima facoltà concessa dalla normativa generale di anticipo dell’esercizio venatorio, in particolare rivolto alla tortora.
Diversamente da come auspicato e lasciato intendere in sede di consultazione preventiva col mondo venatorio di uniformarsi con le regioni limitrofe in materia per periodi e specie, il Lazio pare andare in tutt’altra direzione, tornando indietro da una pratica ormai consolidata da anni e per la quale non sussistono nuove ragioni di ripensamento, né tecniche né ambientali
Dal decreto, senza motivazioni esplicite e senza interlocuzioni con gli organismi di consultazione regionale e tantomeno con le AAVV, invece largamente rincorse in campagna elettorale, è sparito infatti lo specifico allegato. Per ora si lasciano parlare i fatti e sembrano abbastanza chiari nel limitare senza ragioni l’attività venatoria. O dobbiamo pensare che una semplice opinione del nuovo ministro dell’ambiente faccia legge? Toscana ed Umbria, solo per citare le regioni più vicine e con le quali sarebbe non solo utile ma necessario concordare in materia le normative, hanno già tranquillamente deliberato per la preapertura e garantito per tempo ai cacciatori interessati certezza sul come poter affrontare l’imminente stagione venatoria.
Forse i precari equilibri di consiglio non consentono a Zingaretti di fare quello che ha sempre fatto, anzi di migliorarlo come s’era auspicato, uniformando le date e allargando anche alla specie affine colombaccio la preapertura, sempre in sintonia con le regioni limitrofe? O dobbiamo pensare che lo sforzo programmatorio e gestionale che sta affrontando l’assessorato regionale nel quale l’agricoltura e l’ambiente sono unificati si limiti a riproporre una delibera di giunta che norma l’assetto degli Atc obbligando entro il 2018 a comprimere i componenti nei comitati di gestione riducendoli obbligatoriamente a 10 impedendo di fatto la rappresentanza delle associazioni venatorie e la partecipazione democratica?. Sarebbe quindi il caso che chi di dovere chiarisca la situazione e non si faccia finta che la questione non esiste. O nemmeno il rispetto meritiamo?
Giuseppe Pilli
(presidente regionale dell’Arci Caccia del Lazio)