Ci ha messo cinque anni per capirlo, nonostante in tanti avessero tentato di spiegarglielo, ma meglio tardi che mai. Anche se la sua decisione ora assomiglia molto alla favola della volpe con l’uva: Filippo Rossi lascia la politica, e quindi anche il consiglio comunale, per dedicarsi anima e corpo a Caffeina. Il leader di Viva Viterbo lo ha annunciato ieri pomeriggio sul palco del “suo” teatro in cui, dopo aver recitato l’atteso mea culpa, non ha perso l’occasione per attribuire la sua sconfitta a una città, e quindi a un elettorato, che non è ancora pronto, ammesso che lo sarà mai, per le sue proposte futuriste e futuribili. Il succo del discorso di Rossi, brutalizzandolo, è il seguente: le mie idee sono troppo grandi mentre Viterbo è troppo piccola. Da questo gap incolmabile lo schiaffone che il popolo bue gli ha rifilato domenica scorsa.
Rossi se l’è presa con la politica delle piccole cose, tipo quelle che hanno decreto la fortuna di Elpidio Micci, oltre 800 preferenze che gli sono valse il titolo simbolico di “sindaco” di Grotte Santo Stefano. “E’ la politica intesa come servizio di prossimità – ha spiegato Rossi – delle lampadine che si fulminano in strada e dell’amministratore che chiama l’Enel per farle riparare. Un’idea ammirevole di politica che però non cambierà mai la città”. Lui invece la città voleva cambiarla, peccato che l’elettorato non l’abbia capito. Di qui la sua decisione di dedicarsi d’ora in avanti solo alla sua creatura prediletta, Caffeina.
Come tutti i grandi della storia, Rossi ha sofferto molto, dice, per difendere la sua creatura: “Ho sofferto le pene dell’inferno”. “Anche per aprire questo teatro, anche per il villaggio di Natale. Ci hanno fatto la guerra, una guerra che ci ha comportato come minimo una perdita economica di 150mila euro”. Ecco: tutti quelli che in questi anni hanno sostenuto che Caffeina abbia goduto di trattamenti di favore da parte dell’amministrazione Michelini (almeno fino a che Rossi era in maggioranza) – vedi la concessione gratuita delle piazze poi affittate ad attività economiche – sono quindi serviti. Un incompreso. Ecco chi è Filippo Rossi: “Non sono uscito dalla maggioranza per gli ostacoli al teatro Caffeina ma per la diversità di vedute sul teatro dell’Unione, cioè di un concorrente del nostro teatro”.
Cinque anni fa, quando non ascoltando consigli, decise di scendere in campo, “i politici viterbesi non li conoscevo ancora bene. Mentre Caffeina cresceva – ha continuato – nessun Comune, e nemmeno la Regione, per non parlare dei partiti, ha mai provato a metterci il cappello sopra. Cosa che sarebbe stata anche negativa perché avrebbe limitato la nostra libertà, ma sappiamo che la politica in Italia per certe cose serve”. Rossi ne ha anche per la classe imprenditoriale viterbese. “A parte Sensi e Carlo Rovelli, che ha finanziato questo teatro, non abbiamo trovato grandi sostenitori”. Quindi la rivelazione: il suo ingresso in politica “è stato un atto disperato per supplire alla mancanza di politici illuminati. Un atto che però non è servito”. Se abbiamo capito bene: lui non ha mai fatto politica per interesse personale, dalla politica ha avuto solo che rogne e bastoni tra le ruote, e se ha deciso di farla in prima persona è solo per colmare un vuoto di intelligenze. Come dire che i confetti non sono fatti per i somari. Però alla fine la lezione l’ha capita: “Ho capito che a questo punto se avessi continuato con la mia attività politica anche nei prossimi cinque anni avrei arrecato un danno a Caffeina, che non può essere l’8% di questa città (la sua percentuale di voti, ndr) ma può essere l’80, se non addirittura il 100%”. Tutto il cucuzzaro.