di Cristian Coriolano
Il fatto nuovo non è poi così nuovo, visto che Renzi, dato fino a ieri per morto, adesso è pronto a tornare, mettendo perciò fine ai cento giorni della sua improbabile Sant’Elena. Torna, in effetti, con la preoccupazione di tenere botta alle sollecitazioni che crescono, giorno dopo giorno, nell’establishment italiano e internazionale affinché si acceleri la formazione di un nuovo governo. L’ottimismo di Fico, ieri davanti ai microfoni del Quirinale, dà conto anche dell’umore di Mattarella. La situazione è sotto controllo: questo è il messaggio che viene dal Colle.
D’altronde, l’altra sera ai funerali di Giovanni Galloni
i vecchi amici della sinistra scudocrociats avevano constatato come “Sergio” fosse affaticato, ma non piegato dalle difficoltà. La mancanza di concitazione, ovvero la fretta che trapela negli sguardi e nei gesti di chi avverte tutto il peso e l’urgenza delle decisioni, dava la misura di come l’affetto verso l’amico scomparso fosse congiunto a un desiderio di rassicurazione, quasi a trasmettere con la compostezza della sua persona un messaggio politico di fiducia. Del resto, il ricordo di Galloni riporta alla mente le coraggiose battaglie dell’ala più avanzata della Dc per dare alla democrazia italiana, attraverso l’apertura prima ai socialisti e poi ai comunisti, basi più estese e più solide. Oggi si tratta di recuperare un’analoga vocazione al dialogo e all’inclusione al fine di rimettere con la testa in alto e i piedi in giù la struttura della politica democratica.
È però evidente la diversità dei tempi. Il grillismo è un fenomeno alieno, incarnazione di una politica debordante e aggressiva, che sembra uscita cinquant’anni dopo dai laboratori del Sessantotto. E non trova sulla sua strada un interlocutore – il Pd – sicuro di sé, deciso a giocare la parte del vero garante all’interno della futura combinazione di governo. Sul Pd è più facile dire il perché e il percome del suo travaglio, più che registrare il suo sforzo di autocritica e rinnovamento. Nel dibattito del gruppo dirigente prevale la necessità dell’autodifesa, come istinto di sopravvivenza, senza grandi spiragli di riflessione sul futuro. Questa fragilità non abbisogna della cosmesi del buon Martina; semmai, per la forza degli eventi che premono all’orizzonte, esige un di più di virilità politica. Almeno così pensano gli indomiti del renzismo di lotta e di governo.
Tutto ciò, fra pene e lamenti spiattellati in pubblico, conferisce alla vicenda che si consuma nelle stanze del Nazareno una patina di decadenza. Non bisogna gioirne: il Pd resta comunque un presidio di democrazia e libertà, nonostante le sue non poche contraddizioni. Per altro, il rapporto con i Cinque Stelle dovrebbe passare per la cruna dell’ago di un maggiore rigore e senso di responsabilità. Dentro e fuori il Pd, specie nell’area di centro, ci sarebbe bisogno di questa consapevolezza. Di qui lo sguardo sul nostro domani. Prima o poi il centro si riorganizzerà, ma non è detto che incrocerà un Pd risanato dalle sue ferite o non invece un cumulo di macerie, con l’obbligo di ricostruire dalle fondamenta l’intero edificio del centrosinistra. Ai cattolici democratici, strappati al loro silenzio, si chiede di ritessere con pazienza la tela.