“Se non cambiasse mai nulla non esisterebbero le farfalle”. Migliore slogan per la sua campagna elettorale Filippo Rossi non poteva sceglierlo. Di lui infatti tutto si può dire – e si dice di tutto – tranne che non sia un uomo votato al cambiamento. Più votato al cambiamento che votato, in effetti, segno che i cittadini ai suoi voli pindarici, alle sue metamorfosi e ai suoi spericolati volteggi per l’aere viterbese, sempre con la classe e la leggerezza di un elefante più che di una farfalla, ci crede fino a un certo punto.
Rossiè stato fascista, finiano, renziano, civico di tendenze fioroniane e quindi democristiano, infine, nell’ultima reincarnazione, europeista-boniniano. Dategli una candidatura e diventerà anche vegano. Un camaleonte più che una farfalla. Bisogna riconoscere però che il nomadismo politico in Rossi non è mai il frutto di bieco opportunismo, di interesse personale o di cinico calcolo: il lepidottero vola sempre alto e pensa sempre in grande. Per lui “credere ai sogni è un atto rivoluzionario”. E il suo sogno è un rinascimento (viva) viterbese, “una Viterbo piena di vita”, una Viterbo “ricca, pulita, sicura”. Soprattutto una Viterbo che si beva ettolitri di Caffeina e silos di minchiate futuriste. Diceva il filosofo cinese Lao Tze che quella che il bruco chiama fine del mondo il resto del mondo chiama farfalla. Ma se la farfalla è Filippo Rossi mi sa che siamo spacciati.