“Anziano, cardiopatico e affetto dal Parkinson, arriva grave in ospedale, ma per lui non c’è posto: rimane parcheggiato al pronto soccorso di Belcolle e muore ad urologia”. Lo denunciano i legali della società Studio3A-Valore (specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini), che, su mandato del nipote dell’uomo, si stanno occupando del caso per “fare piena luce sulla vicenda”.
I fatti sono avvenuti all’inizio di questa settimana. L’anziano sarebbe morto per un attacco di cuore “dopo essere stato ‘rifiutato’ – si legge in un comunicato – nei reparti più adatti ai suoi gravi problemi. F. S., queste le iniziali del paziente, aveva 84 anni, era originario di Napoli ma risiedeva a Fabrica di Roma assieme al nipote, che se ne prendeva cura essendo il suo unico parente in vita ed anche il suo procuratore generale: l’anziano, infatti, oltre a soffrire di cardiopatia dilatata grave ed essere portatore di pacemaker con defibrillatore, era anche affetto dal morbo di Parkinson e non era autosufficiente. Nonostante tutte queste problematiche, tuttavia, il suo quadro clinico era sotto controllo ed era stabile”.
Sabato 17 luglio, secondo quanto riferito dal nipote, l’ottantaquattrenne lamenta forti dolori, viene quindi chiamato il 118 e i sanitari, ipotizzando uno scompenso cardiaco unito a difficoltà respiratorie. Lo conducono al pronto soccorso dell’ospedale di Viterbo, “dove escludono il cuore, ma confermano in tutta la loro gravità i problemi di respirazione tanto da dovergli applicare una maschera a casco”. “I medici del triage – riferisce lo Studio 3A-Valore – constatata la delicatezza della situazione, chiamano la Terapia intensiva dove però rifiutano il trasferimento nel loro reparto ritenendolo non necessario. Allora dal pronto soccorso tentano con il reparto di Medicina d’urgenza, ma anche da qui arriva un ‘no’, mancano i posti disponibili. Risultato, l’anziano resta al pronto soccorso: durante la giornata manifesta miglioramenti respiratori, ma preoccupa l’aumento esponenziale dei globuli bianchi, e la prognosi rimane riservata. L’indomani, domenica, ogni tentativo del nipote di ottenere informazioni sulle condizioni dello zio dal pronto soccorso è vano: gli viene soltanto riferito per telefono, alle 17.30, che l’indomani, lunedì, sarebbe stato finalmente portato in medicina d’urgenza. A quel punto il congiunto si reca di persona in ospedale, e per ben due volte, nel pomeriggio e di sera, per sapere come stesse il paziente, ma gli viene negato ogni colloquio”.
E ancora: “Poco prima delle 23 lo chiama un’infermiera per informarlo che lo zio è stato trasferito in Urologia. Il nipote fa subito presente la totale inadeguatezza di quella collocazione, chiama il reparto in questione dove l’operatrice che risponde è della sua stessa idea e assicura che si farà sentire con il medico di turno. Ma non ci sarà il tempo. Poco dopo mezzanotte, alle 0.17 di lunedì 19 luglio, una dottoressa di Urologia chiama il nipote per informarlo della morte dello zio: nonostante la nuova corsa all’ospedale, non riesce nemmeno a vederlo, al suo arrivo la salma è già stata trasportata in obitorio. Gli viene detto soltanto che il paziente è morto per un attacco di cuore”.
“Studio3A – si legge in una nota – intende dare risposte alle richieste di chiarezza e giustizia del nipote. Sarà acquisita tutta la documentazione clinica per valutare se sussistano profili di responsabilità medica nella condotta dei sanitari che hanno avuto in cura F. S. e intraprendere quindi le conseguenti azioni”.