Padre e figlio gestori di otto pompe di benzina, tre a Viterbo e le altre in provincia, arrestati per sfruttamento del lavoro. Si sarebbero approfittati di 13 immigrati, tutti regolari e assunti con contratti part time, ma obbligati a turni massacranti e a condizioni di vita durissime. Si parla di turni di 12 ore al giorno, sette giorni su sette con una paga di tre euro l’ora. L’inchiesta è stata coordinata dal pubblico ministero Massimiliano Siddi e le indagini sono state eseguite dalla squadra mobile.
Padre e figlio sono tutti e due ai domiciliari e va detto che prima che fosse decisa la misura restrittiva a carico del padre era stata già emessa la misura interdittiva della sospensione dalla carica di amministratore della società. L’avvertimento non si è rivelato però sufficiente a interrompere lo sfruttamento dei lavoratori. Le pompe di carburante non sono state sottoposte a sequestro e dunque la loro attività prosegue.
Il padre, 63 anni, e il figlio, 28, sono entrambi di origine casertana. Devono ora rispondere in concorso del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. In altre parole, per entrambi l’accusa è quella di caporalato.
“Nei riguardi del padre – si spiega in una nota della polizia – il provvedimento è stato disposto in aggravamento della misura cautelare del divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali, allo stesso applicata il 23 luglio 2020 in quanto, in qualità di presidente e legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, ha coordinato e sovrinteso a tutte le attività della società, impartendo direttive ai collaboratori per quanto concerne la gestione dei dipendenti dei distributori di carburante Ewa di proprietà della predetta società. Il figlio, invece, ha coadiuvato attivamente il padre nella sua attività imprenditoriale, con specifico riferimento alla gestione del personale impiegato nei distributori di carburante. Ai due è stata contestata la condotta di sfruttamento di almeno 13 lavoratori extracomunitari, quasi tutti provenienti da paesi africani dell’area subsahariana e regolari sul territorio nazionale, i quali sono stati impiegati presso i distributori della nota catena di distribuzione di carburanti”.
L’inizio delle indagini risale “alla prima metà del mese di novembre 2019, quando, in seguito ad una serie di controlli della squadra volante presso un distributore, si avviava un’attività info-investigativa nei confronti della società riconducibile agli arrestati. Successivamente le attività investigative si sono focalizzate sulle testimonianze rilasciate dai lavoratori, sentiti in qualità di persone informate sui fatti, dalle quali emergeva che gli stessi erano costretti a sottostare a turni di lavoro massacranti. Sebbene regolarmente assunti con contratto di lavoro part-time, la mole di lavoro da loro sostenuta ha sforato abbondantemente l’orario previsto da tali accordi; i lavoratori, infatti, lavoravano dalle 8 alle 12 ore al giorno, tutti i giorni della settimana, compresi i festivi, senza alcuna possibilità di reclamare il diritto a beneficiare del riposo settimanale ovvero di un periodo di ferie, pena l’automatica conclusione del loro rapporto contrattuale”.
“Per tali prestazioni lavorative – sempre la polizia – i dipendenti hanno percepito uno stipendio notevolmente inferiore a quanto previsto dai rispettivi contratti di lavoro, arrivando a guadagnare poco più di 3 euro l’ora. I suddetti lavoratori sono stati costretti ad accettare arbitrarie decurtazioni delle somme ricevute, sulla scorta di motivazioni aleatorie e irragionevoli addotte dagli indagati. I titolari, per giustificare tali sottrazioni, hanno contestato ai dipendenti presunti ammanchi di denaro rilevati durante il conteggio degli incassi giornalieri; alcuni dipendenti, a seguito di legittime lamentele per le ingiustificate trattenute dei loro salari, sono stati licenziati, mentre altri, per evitare di incorrere nelle stesse conseguenze, hanno rinunciato ad esternare le loro rimostranze, tollerando le condizioni lavorative sopra descritte in ragione del loro evidente stato di bisogno. I dipendenti, peraltro, sono stati fatti alloggiare in ambienti di fortuna ricavati all’interno delle strutture di pertinenza degli impianti di distribuzione di carburante, riforniti con elettrodomestici a dir poco fatiscenti (fornelli elettrici, frigoriferi, stufette elettriche), in palese violazione della vigente normativa in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro”.
I responsabili, secondo la Procura, hanno approfittato dello stato di bisogno del proprio personale, “consapevoli che, attraverso la minaccia del licenziamento, gli stessi avrebbero tollerato tali degradanti e insostenibili situazioni lavorative, considerato anche che quasi tutti hanno l’onere del mantenimento dei loro familiari rimasti nel proprio paese di origine o comunque di famiglie numerose e monoreddito attestate sul territorio nazionale. Dalle indagini è emerso, inoltre, che i due, in virtù della loro posizione di assoluta predominanza nei confronti dei succitati lavoratori stranieri, hanno imposto a questi ultimi di compiere durante il lavoro atti non dovuti né corrispondenti alla normalità delle mansioni per cui erano stati assunti, impartendo loro disposizioni lavorative tramite app di messaggistica al fine di esercitare un pedissequo controllo sull’attività lavorativa svolta e sulla loro regolare presenza in servizio”.