Il Comitato non ce la beviamo scrive al prefetto per sapere “se è informato, nonostante tutti i nostri comunicati stampa e gli articoli scritti dai quotidiani locali, della situazione di Talete, ovvero della popolazione che si trova ‘asservita’ alla gestione per nulla trasparente dell’Ato 1”.
Sotto accusa la decisione dei sindaci di votare la cessione del 40% delle quote e l’aumento delle tariffe “nonostante il voto del Consigli comunali”, così come “gli ingiustificati aumenti in bolletta subiti dai cittadini e i distacchi dei contatori a poveri e persone fragili”. Il Comitato, di fronte a questa situazione, si sarebbe aspettato un intervento di Giovanni Bruno, che invece finora sembra essersi sempre mantenuto a debita distanza da questa questione.
Insomma, perché, si chiede il Comitato, “il prefetto finora non è mai intervenuto, neanche di fronte a procedure ed atti non consoni alle leggi?”. E ancora: “Lo sa, signor prefetto, che da anni chiediamo l’applicazione della legge regionale 5/2014, ma a nessuno importa niente? Così come non importa niente delle possibilità che i Comuni avrebbero per l’utilizzo di soldi pubblici provenienti dalla fiscalità generale, dalla Cassa depositi e prestiti e forse anche da questo Pnrr di cui tanto si parla e che rispolvera la conversione ecologica”.
La conclusione: “L’acqua, oltre che essere diritto inalienabile e non merce di scambio, è in sé senza forma. Essa assume la forma in cui costretta. Se assume la forma di merce e non potesse essere acquistata, essa diventerebbe non più fonte di vita ma, come il fiume Acheronte, passaggio alle anime dei morti”.
A Giovanni Bruno il compito, se lo riterrà opportuno, di battere un colpo.