Uno studio condotto da ricercatori delle università di Princeton, FGV (Fundação Getulio Vargas) e Insper, pubblicato in questi giorni, rivela che in Brasile l’uso del glifosato ha un costo elevato: secondo l’indagine, la diffusione dell’erbicida più utilizzato al mondo nelle colture di soia ha portato ad un aumento del 5% della mortalità dei neonati nei comuni meridionali e centro-occidentali che ricevono acqua dalle regioni dove si coltiva la soia. Ciò rappresenta un totale di 503 decessi infantili in più all’anno associati all’uso del glifosato nella coltivazione della soia. Dal 1974 al 2014 la vendita di questo erbicida è aumentata da 400 T a 113.00 T. Si stima che se ne utilizzi 0,5 Kg per ettaro.
A rendere noto lo studio è Bengasi Battisti, che spiega: “In Italia nel 2012 ne sono state vendute 1795 T e rappresenta il 15% fra tutti i pesticidi utilizzati. E’ ormai tristemente nota l’immagine di erba ingiallita in molto frutteti , anche del Lazio , in piena primavera . Un colossale interesse economico per un erbicida ormai strategico anche per la produzione OGM i cui effetti sulla salute sono noti sia per l’esposizione acuta e sia per la temibile esposizione cronica che anche a piccole dosi determinerebbe gravi interferenze endocrine. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) nel 2015 lo classificò come cancerogeno probabile in particolare proprio per i linfomi non Hodgkin, poi dopo sei mesi l’Efsa (Agenzia europea per la sicurezza alimentare) lo dichiara, in modo opaco, improbabile cancerogeno. Nel marzo 2017 Echa (Agenzia europea per le sostanze chimiche) conferma il giudizio Efsa basato su studi addirittura non pubblicati. Nientemeno una recente e clamorosa rivelazione denuncia che il capitolo dell’Efsa sugli effetti sulla salute umana del glifosato è stato copiato dal dossier di Monsanto. Non bastarono neanche le 300.000 firme raccolte dalla coalizione stop gliphosate a impedire il rinnovo della concessione da parte della Comunità europea. Il glifosato rappresenta un pericolo per l’ambiente e per gli esseri viventi è diventato il simbolo dell’arroganza delle multinazionali della chimica e dell’agricoltura industriale. L’argine a questo modello che compromette, ambiente, salute e futuro restano la consapevolezza del consumatore e le nuove e proficue alleanze con i produttori biologici e di qualità, con lo sporadico aiuto di qualche coraggiosa (San Francisco). Resta l’auspicio di studi indipendenti e finanziati con fondi pubblici per chiarire definitivamente il nesso di causalità tra il potente e diffuso erbicida e gravi patologie negli esseri viventi”.