Finalmente da due giorni sono tornate le rondini. Sono state avvistate sui cieli della Tuscia tra mercoledì e giovedì scorsi. Quaranta giorni di ritardo (e sempre meno numerose) rispetto alla normale tabella di marcia. Colpa del clima, ma non solo.
Insieme alle rondini, sempre tra mercoledì e giovedì scorsi, sono arrivati, dopo aver percorso migliaia di chilometri, anche i gruccioni, splendidi uccelli dai colori variopinti, che ogni anno in provincia di Viterbo, per nidificare, scelgono il parco naturalistico di Vulci.
In dieci anni, spiegano i ricercatori, il numero di questi uccelli in Italia si è ridotto del 50 per cento. Colpa dei cambiamenti climatici, della trasformazione degli agrosistemi e degli habitat, ma anche della loro uccisione per mano dell’uomo perpetuata con lo scopo di arricchire la dieta con proteine animali: in Nigeria vengono infatti catturati di notte con lunghe aste ricoperte con una sostanza vischiosa, mentre nella Repubblica Centrafricana e in altre regioni li catturano facendo roteare in aria un amo innescato con una termite.
Grazie a una ricerca, finanziata da Fondazione Cariplo, Lipu (Lega italiana protezione uccelli), Parco Adda Sud e Università Bicocca di Milano, è stato mappato il tragitto che le rondini seguono per arrivare a queste latitudini e quello che scelgono per allontanarsene. Si è scoperto in particolare che l’itinerario che percorrono per venire a riprodursi nel nostro Paese è diverso da quello utilizzato per tornare a svernare nel Sud del Sahara. Se in autunno la loro rotta è pressoché una linea retta con direzione Nord-Sud, in primavera descrivono un itinerario più articolato che si snoda lungo le coste africane dell’Atlantico fino allo stretto di Gibilterra, passa per la penisola iberica e attraversa la Francia meridionale per arrivare in Italia. Il viaggio primaverile è dunque più lungo di quello autunnale. Se il primo è di ben 7 mila chilometri, il secondo è di appena 4 mila.
“L’allungamento della rotta – ha spiegato al Corriere della Sera il professor Nicola Saino dell’Università di Milano – sembra essere una necessità per questi migratori di lungo raggio che incontrano condizioni ambientali non ottimali sulla loro via. Le nostre rondini prima di partire da Nigeria, Gabon, Camerun e Repubblica Centrafricana, devono infatti ingrassare e accumulare riserve per attraversare il Sahara, e successivamente devono ancora rifocillarsi prima di superare il Mediterraneo. I cambiamenti climatici, e la conseguente scarsità di cibo, le obbligano ad allungare il loro itinerario”. Perché allora in autunno percorrono una rotta lineare più veloce? Sebbene debbano sempre oltrepassare il Mediterraneo e il deserto del Sahara, le priorità cambiano e l’obiettivo diventa il rispetto dei tempi imposti dalla loro migrazione. Le rondini devono infatti osservare una tabella di marcia che prevede una routine annuale molto compressa, fatta dal susseguirsi di riproduzione, migrazione e muta del piumaggio. A fine estate non c’è dunque tempo da perdere. Tenendo conto che la migrazione è in un certo senso tempo sprecato, alle rondini conviene tagliare dritto per arrivare al più presto nella prima fascia utile a sud del Sahara, dove almeno possono iniziare a mutare il piumaggio. Un’operazione, questa, che le obbliga a stare ferme in un luogo per quattro mesi circa, e che deve essere rigorosamente ultimata prima di poter ripartire per le nostre latitudini.
Ma come salvaguardarle? Fermarne la moria, dicono i ricercatori, è possibile innanzitutto dando cibo agli abitanti dei villaggi che tradizionalmente le cacciano, sfruttando il fatto che in inverno le rondini si aggregano a centinaia di migliaia in piccolissime aree di quei Paesi africani. Ad esempio si potrebbero incentivare le snail farms, piccoli allevamenti di grosse lumache del genere Achatina che si avviano con alcune migliaia di euro e che possono essere una notevole risorsa alimentare; istituendo servizi di sorveglianza alle rondini svolti dai giovani del posto; favorendo il turismo naturalistico sostenibile o promuovendo progetti di conservazione già attuati in parte da alcune istituzioni e organizzazioni locali.