L’entusiasmo della ministra Lucia Azzolina non fa affievolire lo scetticismo e gli allarmi di presidi e amministratori locali sulla riapertura delle scuole. In particolare, sul ritorno in presenza per le superiori a partire dal 7 gennaio. Accade così anche in provincia di Viterbo, dove sono tanti, tra sindaci, docenti e presidi, ad esprimere forti dubbi al riguardo nonostante l’ok arrivato dal prefetto.
Si rivolge direttamente all’esecutivo l’assessore alla sanità della Regione Alessio D’Amato: “Con questi dati in crescita faccio un appello al governo a riflettere bene sulla riapertura delle scuole il 7 gennaio. Devono restare chiuse”, dice senza mezzi termini. I rischi, spiega, non riguardano solo il Lazio: “Parlo di tutta Italia, Anzi, noi siamo la regione rimasta sempre in fascia gialla, che ha fatto più vaccini delle altre, possiamo permetterci di lanciare un appello. Non faremo fughe in avanti e applicheremo le decisioni del Governo, ma deve essere chiaro che sarebbe estremamente imprudente, in questa fase dell’epidemia, riaprire le superiori tra una settimana”, insiste.
E ancora: “Occorre grande prudenza, siamo nella fase più delicata della pandemia, ci sono tre mesi invernali di fronte e noi saremo impegnati in una complessa campagna vaccinale. Il problema non sono le lezioni in aula – prosegue – ma tutto ciò che sposta la scuola, tutto ciò che gira attorno alla scuola. Pensare di ripartire, alle superiori, quando registriamo più di 20 mila casi al giorno non ha senso”. “I dati che stiamo vedendo sono effetto dei contagi avvenuti una decina di giorni fa in coincidenza con lo shopping natalizio e gli spostamenti fra regioni. Servono altri giorni per capire se ci sarà un assestamento o se si tornerà a crescere”.
Quanto al capitolo vaccini, “il Lazio – sempre D’Amato – è la Regione che ha già eseguito più vaccinazioni, ma esiste un problema di numeri di dosi di vaccini. Se ne arrivassero di più saremmo pronti ad accelerare. Oggi siamo costretti a usarle al 66 per cento perché una quota deve rimanere come riserva in caso di contrattempi nelle forniture e per la seconda somministrazione. Onestamente – conclude – è difficile capire come mai l’autorità regolatoria del Regno Unito abbia autorizzato il vaccino AstraZeneca, mentre l’Ema, l’Agenzia europea, abbia detto che servirà almeno un mese”.
D’Amato parla da tecnico, avendo i dati quotidiani dei contagi sempre sotto gli occhi, ed essendo più libero di altri dai dettami del politically correct. Nicola Zingaretti infatti conosce i rischi e aspetta le decisioni dell’esecutivo.
Pronti a riaprire, ma non senza timori per il futuro, sono i presidi: “Noi pensiamo che in una settimana passare dal 50 al 75 per cento sia difficile. Si fa fatica a comprendere che tutte queste decisioni richiedono scelte organizzative complesse all’interno degli istituti. La scuola non è come un ufficio o una catena di montaggio – dice il responsabile dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli -. Quindi auspichiamo di continuare al 50 per cento fino alla fine di gennaio”.
I dirigenti scolastici continuano a dirsi contrari allo scaglionamento degli orari e puntano il dito contro il funzionamento del trasporto pubblico locale: “Il problema non è stato risolto”, è l’accusa. Anche tra gli scienziati, che pure hanno ribadito in più di un’occasione come la scuola sia un luogo sicuro, i dubbi non mancano. Fabrizio Pregliasco, che crede sia opportuno prolungare la zona rossa anche dopo l’Epifania dato l’aumento dei contagi, ammette: “Con l’attuale circolazione del virus le scuole sono pericolose sia per quello che vi succede dentro sia per il traffico che innescano, ma – dice sicuro virologo dell’Università statale di Milano – ha senso il tentativo di riaprirle parzialmente per valutare nel tempo gli effetti ed eventualmente ricalibrarsi. Anche perché la scuola ha pari dignità rispetto ai servizi essenziali”.