Infermieri che lavorano nei reparti Covid senza divise e con dispositivi di protezione di scarsa qualità, addirittura costretti – denunciano i sindacati autonomi Confael, Nursing Up, Cisas e Ugl – a coprirsi le scarpe con i sacchetti dell’immondizia. Per questo motivo è stato proclamato lo stato di agitazione, viene quindi chiesto un incontro immediato al prefetto e viene annunciato un sit-in di protesta sotto la Cittadella della salute.
Così Gubbiotto, Perazzoni, Pagnani e Valiani in una lettera al direttore generale della Asl, Daniela Donetti: “A oggi poco o nulla è cambiato e il problema della carenza o mancanza di divise per gli operatori sanitari non è stato risolto”. Domenica scorsa la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso: “Alcuni infermieri non avevano a disposizione divise pulite da indossare”. E la situazione è talmente grave che “si è arrivati al punto di tenere le poche divise disponibili chiuse a chiave per evitare che da altre unità operative vengano asportate di nascosto. Queste sono cose che avvenivano durante la naja dei decenni passati. Non è concepibile che a tutt’oggi per prendere servizio si sia costretti a ‘rubarsi’ le divise tra colleghi”.
Per quanto riguarda i dispositivi di protezione individuale, i sindacati parlano “di scarsa qualità”, come ad esempio i copri-scarpe “a velo di cipolla” che costringono gli infermieri “a coprirsi con sacchetti per i rifiuti”. O le tute ermetiche “che pur nuove arrivano bucate e rattoppate con i cerotti”, senza considerare i pazienti Covid “trasportati da una unità operativa all’altra con semplici barelle e con, soltanto, una mascherina chirurgica creando panico tra gli utenti che si recano in ospedale per effettuare esami o per ritirare i referti”.
La conclusione: “Chi va a Belcolle per curarsi rischia di ammalarsi mettendo a rischio la propria vita” e un’ultima annotazione: ci sarebbero infermieri sessantenni tenuti in corsia mentre altri, con pochi mesi o giorni di servizio, sarebbero impegnati dietro le scrivanie