A breve i sindaci della Tuscia chiamati ad esprimersi sull’ennesimo aumento delle tariffe dell’acqua.
Il Comitato non ce la beviamo chiede ad ognuno di loro “di esplicitare pubblicamente il loro voto e di rendere pubblica la data e il luogo dell’incontro perché i cittadini hanno il diritto di conoscere le decisioni dei propri amministratori. Premesso che molti di loro (tra i quali Viterbo Civita Castellana e Tarquinia, cioè i maggiori centri della provincia) sono tenuti ad osservare la delibera comunale approvata nei Consigli che vieta ogni ulteriore aumento, auspichiamo che questi passaggi non vengano effettuati nelle segrete stanze”.
Il direttore della Talete, Fraschetti, sostiene che l’ulteriore aumento delle tariffe sia inevitabile a causa dell’alto costo della potabilizzazione. “Noi – replica il Comitato – riteniamo invece che i costi di depurazione, ovvero di manutenzione dei dearsenificatori, non dovrebbero essere caricati sulla tariffa dei residenti, in quanto in tutte le zone colpite da inquinamento ambientale interviene la fiscalità generale. Qui, invece, complice la Regione e i sindaci pro Talete, hanno scaricato tutti i costi sui cittadini ostinandosi a portare avanti un modello di gestione privatistico che va contro gli interessi della collettività. Abbiamo invitato più volte i sindaci azionisti di Talete nonché il presidente della Provincia ad avanzare richieste ufficiali alla Regione per accedere a contributi dalla fiscalità generale ma non abbiamo ricevuto nessun riscontro da parte loro”.
L’atteggiamento del presidente della Regione, secondo il Comitato, “non è meno grave in quanto non si prende in carico il problema e continua a tenere nel cassetto la legge 5/2014 che consentirebbe il superamento della gestione Talete spa e l’accesso ai contributi. Inoltre, rispetto a quanto affermato dal direttore della Talete, affermiamo che: 1 – i disservizi denunciati, per ora, sono solo in capo alla Talete e non ai comuni – che evidentemente riescono a fornire un servizio migliore; 2 – la potabilizzazione in molti comuni non serviti da Talete ha un costo che ricade sul servizio idrico e sui bilanci comunali, ciò nonostante le tariffe sono sensibilmente minori; 3 – la leva finanziaria richiesta dal gestore non era il presupposto, ma bensì la conseguenza, del finanziamento da parte di Arera di quaranta milioni di euro. A meno di false e pubbliche dichiarazioni dei sindaci dell’Ato; la diffida riguarda solo i casi in cui gli utenti sono ricorsi ad Arera, ma i disservizi rimangono per migliaia di utenti; 5 – la legge 5/2014 prevede un modello gestionale totalmente differente da quelli degli Ato provinciali e dell’attuale carrozzone Talete; oltre all’intervento della fiscalità generale, che finora manca, non ci sono analoghi meccanismi tra la modalità dettata dalla legge 5/2014 e quella attuale”.
“Pertanto – conclude il Comitato – sindaci e Presidente della provincia nonché presidente dell’Ato, insieme alle ignote ‘associazioni ambientaliste’ di cui parla il direttore Fraschetti, dovrebbero intervenire presso la Regione Lazio in quanto l’arsenico e i fluoruri sono un problema ambientale e sanitario le cui soluzioni competono alla Regione”.

