La politica è “bella” perché balla. Di qua e di là, di sotto e di sopra. Prima tutti sostenitori del lockdown. Ora tutti terrorizzati dall’idea che possa rendersi necessario anche un mini lockdown. Mini perché non esteso all’intera provincia, regione o nazione, ma limitato a un comune piuttosto che a un altro. Così, man mano che passano i giorni e aumentano i contagi, i sindaci inflessibili della prima ora, apparentemente forgiati come l’acciaio, da strenui sostenitori delle misure drastiche si trasformano in sindaci flessibili come certa plastica prodotta in Cina. Esageratamente cauti alla sola idea di introdurre provvedimenti restrittivi a casa loro. E certo: in caso di lockdown totale la colpa sarebbe ricaduta sul Governo o la Regione, con il mini lockdown, invece, anche se la Regione continuerebbe a ricoprire un ruolo non secondario nella decisione, sarebbero loro a doverci mettere la faccia e soprattutto a rispondere ai livelli superiori di eventuali mancanze.
Questo è il clima che si respira dopo la riunione di venerdì tra le autorità sanitarie, i rappresentanti dell’ordine pubblico e i primi cittadini delle “zone rosse” della provincia: Viterbo, Civita Castellana, Nepi, Ronciglione e Vetralla. Nessuno sta vivendo bene la possibilità di limitare la ritrovata normalità degli ultimi mesi.
La paura che in tali comuni, in particolare il capoluogo, possa davvero concretizzarsi il mini lockdown è tanta. Sui primi cittadini aumentano le pressioni di chi – tutti i settori dell’economia – vuole assolutamente scongiurare uno scenario del genere. Il rischio però è concreto e probabilmente nel corso dei prossimi sette giorni, se la curva dei contagi non si raddrizza, qualche provvedimento è probabile che debba essere preso.
Bisognerà evitare ancora di più gli assembramenti fuori le scuole, ma questo sarebbe il minimo. Soprattutto, si temono le chiusure anticipate dei locali e le misure di distanziamento che andrebbero ripristinate all’interno degli stessi. Non è un mistero che al momento la gran parte dei ristoranti nel fine settimana è affollata come se l’emergenza non sia mai esistita. Tavoli appiccicati, gente accalcata: tutto umano e comprensibile, dato che i gestori devono pur rifarsi dei mancati introiti di primavera, ma allo stesso tempo è anche tutto molto pericoloso. Motivo per cui Arena, per fare un esempio, è costretto a gettare acqua sul fuoco, nonostante i 19 contagi odierni, quando ad aprile, per soli due o tre positivi, un giorno sì e l’altro pure minacciava di chiudere tutto. Giardini, parchi e, se avesse potuto, anche i supermercati.