Da huffingtonpost.it riprendiamo e pubblichiamo un intervento di Giuseppe Fioroni
di Giuseppe Fioroni
È stato accolto con un misto di sorpresa e curiosità il discorso di Conte a Cernobbio. La sorpresa nasce dal fatto che il presidente del Consiglio finora, rispetto alle questioni strettamente politiche, ha osservato un certo prudente formalismo, un po’ per riserbo istituzionale, un po’ per comprensibile ritrosia personale. La curiosità, invece, riporta alla sensazione di un inquieto procedere sulla via dell’impegno politico diretto ed esplicito, talché si è cercato di capire se davvero il Premier intenda prima o poi assumersi la responsabilità di fondare un partito.
Conte, a questo riguardo, non ha esitato neppure stavolta a ribadire la sua totale estraneità all’idea di un nuova formazione politica. Ciò basterebbe a mettere in sordina le voci ricorrenti sulle effettive intenzioni dell’inquilino di Palazzo Chigi. Invece, sulla base delle ultime esternazioni, diventa difficile abbandonare gli interrogativi sul futuro politico che investono la sua persona, unitamente ad alcuni solerti patrocinatori della causa: più sta e più crescono gli iscritti anzitempo al preconizzato partito. Segno diretto e indiretto, tutto questo, di uno sfioramento della maggioranza che sostiene il governo, ma non riesce a trovare l’ubi consistam della sua possibile evoluzione. Nell’incertezza, la personalizzazione della lotta democratica riempie i vuoti prodotti o lasciati dalla politica.
La regola vuole che il capo dell’Esecutivo si astenga da possibili interferenze sulle grandi scelte istituzionali, specie se riguardano il potere legislativo, le sue dimensioni funzionali e organizzative, il quadro degli equilibri che ne tuteli il ruolo. Invece Conte ha detto di augurarsi che vinca il Sì al referendum. Stessa cosa vale per il Quirinale. Come può il presidente del Consiglio mettersi a discettare sulla riconferma dell’attuale Capo dello Stato? Fa’ piacere, almeno per quel che mi riguarda, sentirlo affermare platealmente.
Ciò non toglie che l’intervento strida con il buon senso e la correttezza, essendo la nomina del successore di Mattarella – o appunto la sua augurabile riconferma – al di fuori della competenza del presidente del Consiglio. Citare infine Draghi e metterne in evidenza – vero o falso che sia – la stanchezza dopo anni di lavoro alla guida del Bce, attesta la precisa volontà di ritagliare per sé uno spazio pubblico non conteso da altri, o meglio da altri non contendibile.
Troppi elementi e troppe circostanze vanno a rafforzare i dubbi già esistenti. Conte, del resto, non siede nemmeno sui banchi del Parlamento: non è stato eletto e non vive di proprie risorse politiche. Allora, se parla in questi termini, come se fosse cioè un leader di partito in grado di andare oltre il suo ruolo istituzionale, vuol dire che pensa oramai di assumere sulle sue spalle l’onere di una più esplicita funzione politica.
Pensa se stesso, fatalmente, come leader di partito. È un segno di forza o una dimostrazione di debolezza? Forse, in questo frangente, si confondono le note. Sta di fatto che l’esuberanza, se così possiamo dire, del capo del governo mette in tensione la vita del governo medesimo. Invece di guadagnare stabilità, si ottiene il risultato opposto: più interrogativi, più sospetti, più incertezze.
Era necessario questo passo azzardato di Conte?