“Abbiamo abbandonato la figura del medico scolastico con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale, oltre 40 anni fa. Non torniamo indietro e soprattutto non creiamo confusione di ruoli a scapito di bambini e genitori. Dentro quelle classi ci sono i nostri pazienti ed è impensabile affidare ad altre figure professionali non specialistiche, compiti che si collocano tra le nostre responsabilità. Non c’è bisogno di un altro medico. Piuttosto, come indicato nel documento dell’Istituto superiore di sanità sulla gestione dei contagi nelle scuole, occorre che i Dipartimenti di prevenzione individuino figure di raccordo, come gli Infermieri di Comunità”.
Proprio mentre ne Lazio si aprono le procedure per il reclutamento dei medici scolastici, dalla Federazione italiana medici pediatri arriva questa dura presa di posizione, espressa dal presidente Paolo Biasci in un incontro col ministro della salute, Roberto Speranza.
“Ho dato – spiega Biasci – la disponibilità della pediatria di famiglia a rappresentare l’interfaccia del Servizio sanitario nazionale, insieme naturalmente ai Dipartimenti di prevenzione, rispetto alla scuola ed al sistema educativo in generale. E’ stata riconosciuta la centralità del nostro ruolo e confermato l’impianto del rapporto Iss. Nella relazione viene richiesto di individuare delle figure professionali referenti per l’ambito scolastico e per la medicina di comunità, in collegamento funzionale con i medici curanti di bambini e studenti. Facciamo una proposta organizzativa coerente con il documento, sostenendo la figura dell’infermiere di comunità come referente che svolgerà le funzioni di prevenzione e controllo all’organizzazione scolastica per l’emergenza Covid e indagini epidemiologiche. Una professionalità quindi, che potrà fungere da raccordo tra la scuola e il pediatra di famiglia”.
“Quanto alla prevenzione – afferma Biasci – siamo disposti a dare il nostro contributo nella scuola con attività territoriali che peraltro il nostro accordo collettivo nazionale già contempla e ci stiamo impegnando a partecipare attivamente alla campagna di vaccinazione per l’Influenza. Il pediatra di famiglia è in grado di assolvere questi compiti senza che si debbano inventare novità rispetto a quanto già previsto: spetta alle Regioni coinvolgerci. Siamo ancora in pandemia – continua Biasci – e la sorveglianza è un dovere delle istituzioni a cui ciascuno di noi è chiamato a collaborare. Il problema è organizzativo, non clinico, occorrono tempi di richiesta, esecuzione e risposta rapida dei tamponi. Nuovi compiti, nuova organizzazione: di questo necessita l’assistenza pediatrica per un rilancio che veda uno sviluppo di offerta alle famiglie ed ai bambini. Per questo abbiamo chiesto un incremento delle risorse a disposizione delle Regioni per incentivare l’assunzione di personale infermieristico negli studi dei pediatri di famiglia”.