Da huffingtonpost.it riprendiamo e pubblichiamo un intervento di Giuseppe Fioroni
di Giuseppe Fioroni
Non penso che qualche anno fa, mettendo mano alla fondazione del “partito unico” dei riformisti, avessimo l’idea di dover partecipare alla silenziosa degradazione del Parlamento. Qualcuno potrà subito obiettare che questa degradazione non esiste, sta solo nelle polemiche di vecchi difensori di una democrazia arrugginita e improduttiva, figlia della lunga stagione del predominio dei partiti.
Non è così. Anche il referendum sul taglio dei parlamentari restituisce l’immagine di un brutto asservimento alla logica della democrazia a scartamento ridotto, sommersa dal pregiudizio anti-istituzionale che ne debilita il valore e la funzione.
Ha scritto Emiliano Brancaccio sul numero dell’Espresso in edicola: “Se non si ferma questa bieca Vandea liberista, al prossimo giro qualcuno magari proporrà di trasformare l’aula sorda e grigia in un bivacco di manipoli. E ci mostrerà fiero gli spicci risparmiati, mentre distrugge quel che resta dello stato sociale”. E in un passo precedente dello stesso articolo si depreca l’aspetto patetico di una battaglia che vorrebbe essere di moralizzazione della vita pubblica.
Noi, i Democratici, godiamo di una reputazione che incrocia critiche e rilievi, come sempre accade nella dialettica tra partiti e pubblica opinione, ma che indubbiamente sopravanza la percentuale dei nostri consensi elettorali proprio in virtù di una percezione che fa del Pd, a fronte di formazioni politiche a carattere personalistico o leaderistico, la forza più connaturata alla figura di autentico “partito costituzionale”.
Da ciò deriva la preoccupazione per il fatto che una linea incongrua, dettata dal compromesso di governo con il Movimento 5 Stelle, possa infine provocare una sorta di cedimento strutturale del nostro impianto politico e programmatico.
Il Pd, se non vuole essere subalterno, deve recuperare appieno la sua autonomia di partito. Ci sono vari modi per darne conto agli elettori. Tra questi esiste il richiamo alla libertà di voto su una materia – la drastica riduzione della rappresentanza parlamentare – che incide sul diritto di rappresentanza dei cittadini.
In ogni caso, non può prefigurarsi la scomunica dei “Democratici per il No”, destinati nelle prossime settimane a uscire da un riserbo che muove unicamente dalla ripulsa di metodi irrispettosi della disciplina di partito. Una disciplina, però, inapplicabile in questo caso e fino in fondo, a misura del rischio di offuscamento delle ragioni fondative del partito erede delle grandi tradizioni del riformismo democratico. È questa la partita in gioco.