Molte compagnie che lavorano al vaccino sperimentale contro il virus che ha messo in ginocchio il mondo intero e che ora circola con forza in Brasile e Sudafrica, sono vicine al risultato. Una in particolare, l’Irbm, che ha sede a
Pomezia, ha avviato la sperimentazione di fase II e III in Inghilterra. I risultati sono promettenti e a breve si riuscirà a capire se il vaccino funziona ed è in grado di sviluppare l’immunità necessaria nella popolazione testata.
A capo del team – come riporta l’agenzia Dire – c’è una donna, Stefania Di Marco, direttore scientifico di Advent (del gruppo Irbm) che ha raccontato via Skype i risultati ottenuti con forti investimenti di denaro ma anche di notti di lavoro intense. Sforzi che, spiega, non saranno vani neanche se il virus dovesse scomparire, perché ci si aspetta che torni a fare capolino in autunno.
Sono state prodotte da Advent-Irbm 13 mila dosi di vaccino sperimentale contro il Covid. Cosa ha comportato arrivare a questi risultati in termini di investimenti economici e sforzi dei ricercatori? Inoltre è appena partita la fase II di sperimentazione del vaccino, qual e’ la risposta immunitaria dei soggetti testati?
“Noi ricercatori di Advent abbiamo investito soprattutto molto tempo poiché abbiamo lavorato notte e giorno, incluse le festività, per produrre questo vaccino in tempi rapidissimi. L’investimento economico invece dipende dall’Università di Oxford, che ha stipulato il contratto con il nostro gruppo per iniziare a lavorare a questo vaccino. Per quanto riguarda poi
l’efficacia adesso sono partiti gli studi di fase II e III, ovvero gli studi di efficacia dove si testerà la capacità di questo vaccino. I risultati pubblicati da pochissimo dei test sui macachi hanno dimostrato che il vaccino è in grado di evitare l’insorgenza della polmonite negli individui vaccinati rispetto ai non vaccinati. Insomma ci sono ottimi presupposti affinché
funzioni, ma questo lo potremo sapere tra un po’ di mesi”.
A voler fare delle previsioni, quando potrà essere distribuito su larga scala con il contributo dei vostri partner che sono l’università di Oxford e AstraZeneca?
“Per ora su come e dove verrà distribuito il vaccino non sono in grado di dare una risposta, però posso dire che noi stiamo producendo e continueremo a produrre il vaccino sperimentale per ulteriori studi clinici. AstraZeneca sta coinvolgendo inoltre tutta una serie di siti di produzione a livello mondiale per produrre su grande scala questo vaccino. Il problema sarà proprio produrlo in milioni e miliardi di dosi. C’è bisogno di grandi gruppi per questo tipo di produzioni”.
Visto che state testando in Inghilterra, le prime dosi del vaccino a quale Paese andranno? Ci sono categorie che ne beneficeranno prima rispetto alla popolazione generale?
“Gli studi clinici sono partiti in Inghilterra perché lo Jenner Institute è quello che pagato tutta la produzione del vaccino. In ogni caso lì vicino ad Oxford c’è tutta una serie di siti clinici, e poi il contagio in atto in quelle zone era molto alto. Ecco perché è stato logico partire da lì con la sperimentazione clinica. Per quanto riguarda la distribuzione,
quando saranno disponibili le prime dosi, come spesso accade, si
pensa sempre a vaccinare per prime le categorie di persone più
esposte all’infezione, un esempio su tutti gli operatori sanitari. Ma comunque il vaccino verrà distribuito in tutto il mondo”.
Se il virus dovesse sparire, volendo far chiarezza sulle ultime
polemiche di ieri relative all’affermazione di un medico che ha
dichiarato che il Covid sarebbe già “estinto” come è successo
per la Sars, che cosa si farà con questo vaccino?
“Il virus non è scomparso. Possiamo dire piuttosto che il virus circolante in Europa è meno virulento. Non è così però in Brasile, in Sudafrica e nel resto del mondo dove la diffusione del Covid-19 è attiva ed in corso. A breve partiranno delle dosi di vaccino sperimentale proprio per Brasile e Sudafrica, perché adesso bisogna rincorrere il virus lì dove ci sono i focolai
attivi per testare l’efficacia del vaccino. E’ importante inoltre testare l’efficacia del vaccino ed eseguire studi clinici anche proprio in questi Paesi nel pieno della pandemia, perché è solo in questo modo che si riesce ad avere dei buoni risultati in tempi più rapidi. Se non c’è più un focolaio attivo ci vuole più tempo a testare l’efficacia del vaccino. Per tornare alla
sua domanda, se questo virus dovesse poi scomparire dobbiamo mettere in conto però che potrebbe ritornare in ogni momento. Ecco perché avere un vaccino disponibile può essere utile sia nel caso il Covid-19 dovesse tornare in autunno che se dovesse circolare un nuovo virus della stessa famiglia, ad esempio. In più va messo in conto che in autunno inizieranno a circolare
nuovamente virus influenzali”.
Associare il vaccino contro il Covid-19 con quello antinfluenzale potrebbe rappresentare la scelta ottimale?
“Adesso le linee guida prescrivono, tra settembre e ottobre, di
vaccinare quanti più soggetti possibili con il vaccino antinfluenzale. Bisognerà poi vedere la praticabilità di associare i due vaccini, in quanto vaccinare non è così facile. Adesso potremmo avere anche il problema di reperire per tutti le dosi di vaccino per l’influenza. Comunque, se ci fosse la
possibilità, sarebbe una buona idea associare il vaccino contro il Covid-19 a quello antinfluenzale”.