Filippo Rossi ha detto che lancerà un nuovo partito politico. La Buona Destra. In antitesi alla destra “cattiva” di Salvini e Meloni. Una destra, la sua, solidale e solidaristica. Che non attacca i volontari in Africa come Silvia Romana e non deride le sardine che scendono in piazza per rivendicare una società meno violenta e populista. Una destra che non parla alla pancia dell’elettorato, ma che vuole invece restituire al Paese una prospettiva liberale moderna e riformatrice.
L’idea di per sé non è sbagliata. Il problema è che Rossi non spiega, nei fatti, come intende declinare tutto ciò all’interno dello scacchiere politico. Non colloca questa Buona Destra da nessuna parte. La lascia al centro, dialogante con la sinistra e con la destra. Un po’ di qua e un po’ di là a seconda delle circostanze. Né pesce, né carne.
A parte il nome, ci troviamo di fronte al Filippo Rossi di sempre. Quello di Viva Viterbo e Caffeina. Con la prima nata in funzione della seconda e la seconda che ha alimentato la prima in funzione di sé stessa. Rivediamo in questo progetto il Filippo Rossi che si mette con il partito (sinistra) della Regione e contemporaneamente cerca strade, buone o cattive che siano, per scendere a patti tramite il fido Barelli con la destra in Comune. Intellettuale e “picchiatore” allo stesso tempo. Disposto al dialogo all’apparenza, sordo e feroce nella sostanza. Capace di alti discorsi, ma disinvolto nell’uso degli strumenti più beceri in uso presso l’attuale classe politica.
Una Buona Destra per essere credibile e ambire a obiettivi seri dovrebbe porsi in antitesi con il resto del panorama. Dubitiamo che Rossi sia in grado di farlo. Dubitiamo che dietro all’operazione di marketing ci sappia mettere un prodotto all’altezza.