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Home » Politica » Tamponi, ne servivano di più. Ora non si perda tempo

Tamponi, ne servivano di più. Ora non si perda tempo

21 Marzo 2020

21 marzo 2020, ore 22.45

Il coronavirus fa paura anche in provincia di Viterbo. La settimana si chiude con quasi 100 casi accertati. Destano preoccupazione i focolai di Capodimonte/Marta, Tuscania e Viterbo/Belcolle/Unitus. All’ospedale i contagiati sono numerosi, il primo è stato il medico infettivologo fratello del professor Monarca. Da non sottovalutare contestualmente i positivi che ruotano attorno al mondo dell’Università.

Si poteva fare di più per isolare i primi casi e frenare il propagarsi del virus? Di sicuro, è un fatto che il numero dei tamponi è stato aumentato solo negli ultimi giorni. Inizialmente, ne sono stati fatti pochissimi. Eppure, al di là dei protocolli dietro cui si trincera la burocrazia, alla scienza non è mai sfuggito che essi sono decisivi per individuare i portatori sani (o asintomatici), ai quali, liberi di muoversi proprio perché non controllati, va imputata la maggiore incidenza nei contagi. Identico ragionamento per il personale sanitario, servivano e servono tamponi a tappeto per tutti gli operatori. Medici, infermieri, tecnici e addetti di varia natura. La vera sfida e questa. Duole constatare che a Viterbo all’inizio l’hanno capito in pochi.

Un esempio: a Marta, come si sa, è scoppiato il caso del medico condotto. Uno che per lavoro era venuto a contatto con mezzo mondo. Bene, andava fatto il tampone al maggior numero possibile di persone che con lui avevano avuto rapporti. Idem per l’Università e Belcolle.

Dai tamponi al laboratorio analisi, il ragionamento segue la stessa direzione. Per abbattere i tempi le analisi vanno eseguite a Belcolle. Mandare a processare i tamponi a Roma e attendere l’esito dal Gemelli fa perdere velocità al meccanismo di isolamento delle catene del contagio.

Dunque: indispensabile effettuare tamponi al maggior numero possibile di persone, compresi tutti gli operatori sanitari delle strutture pubbliche e private. E non è questa, come sostiene qualcuno alla Asl, una proposta strumentale. Lo dice l’Oms: l’unico modo che oggi esiste per spezzare la catena di trasmissione è quello di isolare chi è infetto.

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