Da La Presse riprendiamo questa intervista di Nadia Pietrafitta ad Arturo Parisi.
Il “nuovo Pd” annunciato da Nicola Zingaretti? Rischia di essere “un ritorno indietro nel fare” e “una fuga in avanti nel dire”. Parola di Arturo Parisi. Le indiscrezioni sul nome della nuova creatura Dem parlano della possibilità di togliere la parola partito e arrivare a ‘I democratici’ e al professore fischiano le orecchie.
Era il ’99 quando lei e Prodi fondaste ‘I democratici’, l’asinello scalciante. E’ un ritorno al passato?
“Nel nome di certo c’è un ritorno all’indietro. Nelle cose direi addirittura una fuga in avanti, cioè a dire nel progetto politico evocato da ‘I democratici’ e dal loro Asinello scalciante. La fondazione di un nuovo partito, appunto il Pd, che fosse un partito nuovo, come oggi Zingaretti ripete. Un partito figlio della battaglia per una democrazia governante, aperta dal movimento per le riforme istituzionali del decennio precedente. Un partito promotore e garante del polo di centrosinistra nell’assetto politico bipolare, incoraggiato dalla legge maggioritaria. Tutte cose, rispetto allo stato di cose presenti, a noi troppo avanti anche se il nome richiamato sembra un ritorno indietro”.
Zingaretti vuole aprire il Pd alla società civile e rifondarlo. Sarà capace di rinnovare la sua classe dirigente o è il tentativo di creare un nuovo cartello elettorale?
“Aprirsi alla società civile è una locuzione che i partiti usano per dire che non pensano a soggetti già presenti nella competizione politica. Un altro modo per dire allargare il proprio bacino di consenso potenziale. L’obiettivo ordinario di ogni forza politica. Tutto comunque all’infuori che un cartello tra forze politiche costituite. Non è un caso che l’unico movimento evocato è quello delle Sardine, ancora incerto tra gli spalti e i dintorni dell’arena partitica”.
Basterà a salvare il Pd o, come dice Renzi, i dem faranno la fine di Corbyn e sarà un’autostrada per Italia viva?
“Autostrade? Anche in politica non è proprio la loro stagione. Quanto al Pd non penso sia in causa la sua salvezza. Col proporzionale si torna al bel tempo antico nel quale era difficile distinguere i veri sconfitti dai veri vincitori. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. E almeno in questo Zingaretti ha ragione. Il ritorno al modello tradizionale di partito con una rendita politica e una organizzazione articolata e presente in tutto il Paese dà fondamento alla ambizione a gareggiare ancora a lungo per la posizione di partito meno piccolo. E quindi a tessere e ritessere nel Palazzo le trame del governo. Ogni giorno da capo. Mentre l’Italia attende la soluzione di problemi che la politica del giorno per giorno non può che aggravare”.
Un errore grave, quindi, accordarsi sul proporzionale? Il Pd avrebbe dovuto fare di più?
“La propensione per la spartizione proporzionale più che un errore incidentale è una scelta qualificante che accomuna non solo il Pd ma purtroppo la grande maggioranza del ceto dei politici di professione e quindi dei partiti che li organizzano. Esclusi momenti eccezionali come quelli costituenti nei quali può prevalere un punto di vista generale, ed esclusa la tentazione che può prendere per un momento chi intravede la possibilità di conquistare il tavolo tutto per sé, questa è la regola. Da questo punto anche per il Pd si tratta solo di un ritorno all’antico. A prima della caduta del muro di Berlino, quando tutti d’accordo contrastavano ogni correzione maggioritaria ora come un tentativo di truffa, ora come una tentazione fascista. Un ritorno a prima della stagione delle riforme istituzionali col loro seguito di ‘americanate’: dalla elezione immediata dei Sindaci e dei Governatori, alla pensata di introdurre anche da noi le Primarie all’insegna dell’Asinello scalciante.Me lo faccia dire con l’accento di una amara autoironia. Ecco perché l’idea di tornare a ‘i Democratici’ più che un ritorno all’indietro nel fare, è una fuga in avanti nel dire”.