Riprendiamo e pubblchiamo l’articolo di Paolo Corsini in mertio al recente manifesto lanciato da Stefano Zamagni e altre personalità.
Le suggestioni di un partito di ispirazione cristiana periodicamente ritornano in ambito cattolico, simbolo oggi di uno spaesamento più che non di una nostalgia e, insieme, espressione di una «politica senza cattolici», vale a dire inabilitata a garantire adeguate risposte alle loro aspirazioni. Già all’indomani della fine della Dc hanno in effetti visto la luce diverse formazioni progressivamente destinate alla scomparsa e, nel tempo, confinate in un ruolo minoritario. Così pure i tentativi esperiti di aggregare l’area cattolica in un contenitore politico, ad esempio i convegni di Todi di qualche anno fa, non hanno sortito gli esiti sperati .
La questione dei «cattolici senza politica» torna adesso di attualità, anche se ampiamente condivisa è la convinzione che non sia possibile una nuova Dc, tenuto conto di condizioni storiche, politiche, sociali, profondamente mutate rispetto agli anni in cui la «balena bianca» ha dispiegato la sua supremazia. Ora il recente «Manifesto» reso pubblico da autorevoli personalità cattoliche raccolte attorno al noto economista Stefano Zamagni, presidente del Pontificio consiglio delle Scienze sociali- un appello rivolto a credenti e non credenti teso ad offrire agli elettori una nuova rappresentanza in nome di quel «pensiero forte» che fa riferimento ai principi della Costituzione, della Dottrina sociale delle Chiesa e delle varie Dichiarazioni dei diritti dell’uomo – riapre la discussione. Soprattutto lancia una sfida rivolta a tutti gli attori dell’attuale arena politica: a Matteo Salvini , al suo antieuropeismo, alla sua negazione dei <malori dell’accoglienza», nonostante l’ostentazione dei rosari e della Madonna, ma pure al Pd del quale non convincono, a detta degli estensori del «Manifesto», posizioni troppo spostate a sinistra.
Dunque un nuovo soggetto politico ,non verticistico come nel caso di «Italia viva» di Matteo Renzi, tendenzialmente centrista, in grado di parlare ai ceti temperati, di fare della moderazione la sua cifra distintiva, di una visione laica la sua bussola di orientamento, di un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale – con le dovute soglie – la leva dei propri consensi. Obiettivo politiche sociali che rifuggano tanto dal «paternalismo di Stato», quanto dal «conservatorismo compassionevole» nella direzione di una «economia civile di mercato» e di «società generative». In sintesi un progetto «neoumanista» di ispirazione cristiana, aperto a quanti si propongono di estendere la libertà, rafforzare la democrazia, di ritrovarsi attorno a principi morali e solidali. Al di là del linguaggio raffinato, molto accademico, certamente puntuale, ma non popolare, che lo contraddistingue -oggi la comunicazione è parte integrante della politica-, il «Manifesto» solleva immediatamente una serie di interrogativi che persino prescindono dal merito dei suoi assunti molti dei quali certamente propositivi, soprattutto in rapporto alla vacuità dell’attuale chiacchiericcio politico.
Assunti degni di grande attenzione e rispetto. Anzitutto il voto dei cattolici da tempo ormai tendenzialmente coincide col voto di tutti gli italiani, con quello della generalità dei cittadini. In secondo luogo l’ormai consolidato pluralismo delle loro scelte politiche: esse si collocano lungo nette faglie di divisione, persino attorno a questioni che invece dovrebbero essere ormai pacifiche quali ad esempio il rifiuto del
razzismo, di ogni forma di antisemitismo, per limitarci alla cronaca più recente. E ancora: l’attuale meccanismo elettorale presenta una quota maggioritaria penalizzante per le formazioni minori e tale da sconsigliare ulteriore frammentazione del quadro politico. Soprattutto se ottiene via libera il disegno salviniano di un sistema elettorale compiutamente maggioritario. Infine, tenuto conto della forte sottolineatura personalistico-comunitaria che attraversa tutto il «Manifesto», perché non considerare a fondo le opportunità dell’attuale offerta politica – penso evidentemente al Pd – in mondo da raccordarle ad una domanda certamente diffusa nell’area cattolica e oggi non adeguatamente soddisfatta?
Alludo ad un insieme di istanze sulle quali gravano minacce incombenti, i fantasmi di una società atomizzata e desolidarizzata. E allora: un ennesimo partito o non piuttosto l’impegno a rafforzare una casa comune di quanti condividono i valori «neoumanistici» che il «Manifesto» pone a fondamento di una visione e di un progetto? Dunque, per rifarci all’ultimo Pietro Scoppola, la tensione non per un nuovo partito, ma per una autentica «democrazia dei cristiani».