Con tutte le loro insidie e trappole, i social network sono luoghi pericolosissimi da cui gli intellettuali dovrebbero girare alla larga. Soprattutto se gli intellettuali non sono esattamente delle scafate volpi ma dei “candidi fanciulli”. E’ il caso di Massimo Onofri, l’illustre scrittore e critico letterario viterbese, che dopo l’epic fail su Walt Whitman scambiato per l’attore James Franco, ieri è scivolato di nuovo su una buccia di banana (senza doppi sensi). In questi mala tempora di politically correct, di Metoo, di asie argento e scarpette rosse, Onofri ha avuto l’ardire di scrivere un post di pura dinamite: “Non ce la farò mai a rassegnarmi. Sempre mi sorprenderò come un candido fanciullo. Quando la bonissima di turno posta un imbarazzante testo che ha pretese di pensiero, di originale filosofia (e si tratta spesso di banalità rubate in rete) e, con riflesso quasi condizionato, l’arrapato di turno, che pensa solo ai suoi seni e ai suoi glutei, ma soprattutto a compiacerla, subito così commenta: «Geniale!». No non ce la faccio”.
Era inevitabile che s’aprisse l’altra metà del cielo: tra le “femen” di Facebook c’è subito chi ha sentito nell’accostamento tra le “bonissime” e le “pretese di pensiero” puzza di pensiero unico maschilista e machista, quanto di più lontano in verità dalla cultura dello scrittore. Onofri ha tentato di metterci subito una pezza con una chiosa al post precedente: “La mia considerazione non è sulla donna, come molti – per evidenti miei limiti di chiarezza – hanno interpretato, ma su di lui – su noi maschi -, che è un perfetto imbecille. Lei ha scritto una banalità ordinaria, come se ne leggono tante, che non mi avrebbe indotto alcun commento, se non ci fosse stato l’intervento dell’arrapato, che voleva compiacere. Baci a tutti. Anche a chi mi ha detto che offendo le donne con questi miei post”. Ma la frittata Onofri l’aveva ormai fatta, tanto che da una sua perfida e sottilissima follower è arrivata una micidiale risposta: “Peraltro esiste anche il viceversa, ‘genio’ scritto da gattemorte sotto la banalità del mediamente brillante di turno”. Perché peggio delle banalità ordinarie ci sono solo quelle straordinarie.