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Home » Politica » La condotta dello Stato su fisco digitale e burocrazia mettono a rischio la libertà d’impresa

La condotta dello Stato su fisco digitale e burocrazia mettono a rischio la libertà d’impresa

17 Ottobre 2019

Riceviamo e pubblichiamo da la segreteria di Confimprese Viterbo

L’anno 2019 verrà ricordato negli annali fiscali, e non solo, come uno dei peggiori della storia repubblicana. Ormai e’ un dato di fatto certo: la digitalizzazione ha un vero unico beneficiario e non è certo il cittadino o l’impresa ma si chiama Stato. Imprese e cittadini, inermi di fronte ad imposizioni di utilizzo obbligato di strumenti digitali e telematici, sono sempre più soli nel risolvere problemi di vario genere dettati dall’utilizzo di certi sistemi e software che, detto francamente, non sono certo facili e comprensibili e non sono tantomeno all’avanguardia per un paese che si vanta di avere uno dei migliori sistemi di digitalizzazione al mondo.

In verità il nostro è uno tra i peggiori e caotici paesi in questo settore. Cominciando dal fisco, prendiamo come riferimento la vicenda delle ISA, i pasticciati  indicatori di affidabilità delle imprese, meglio chiamate Pagelle Fiscali, che tanta attenzione, volgendo al ridicolo, hanno avuto da parte della stampa specializzata non solo italiana. Un caos che ha costretto duecentomila addetti ai lavori tra professionisti fiscali, caf e società di servizi ad una stagione pessima mai vissuta in Italia, irrispettosa del lavoro altrui, tra l’altro già aggravata  da un paio d’anni dall’introduzione delle liquidazioni periodiche trimestrali iva e, successivamente dalle famigerate fatture elettroniche per le quali l’agenzia delle entrate ha avuto un lungo rodaggio non ancora ottimizzato a livello di sistema.

Quel sistema amministrato a livello tecnico dalla Sogei, società compartecipata dal Ministero dell’economia una enorme piramide dal costo di 400 milioni di euro l’anno sulla cui efficienza, visti gli ultimi accadimenti, in molti hanno seriamente dubitato. Sulle fatture elettroniche possiamo dare giudizi positivi per il recupero del gettito e per il contrasto alle frodi fiscali e nessuno mette in dubbio questo indiscutibile vantaggio. Ma se da una parte avviene il recupero dall’altra aumenta il nero verso i privati, una condotta questa da   condannare ma anche figlia, in parte, di un gap di cultura digitale che vecchi artigiani e imprenditori di vario genere non hanno digerito non avendo le basi minime per affrontare tali adempimenti con un sistema non cartaceo. Di fatto una discriminazione per tutti coloro che non hanno avuto la fortuna di studiare nella loro vita ma che hanno fatto la loro parte lavorando sodo dalla mattina alla sera e che ora si ritrovano costretti a pagare il lavoro altrui anche per fare una semplice operazione di fatturazione. Se poi parliamo di ISA  la situazione è ancor peggiore.

Facendo un passo indietro ricorderemo gli studi di settore, strumento non proprio sostenibile dall’amministrazione finanziaria per recuperare gettito sulla base di presunzioni statistiche incrociate con dati contabili. La giurisprudenza ha sancito nel corso degli anni la loro precarietà tanto da rafforzare i conteggi unitamente ad altri strumenti  vessatori come gli spesometri, anch’essi deboli nel confronto dinanzi le commissioni tributarie. Nelle promesse del governo Renzi si sosteneva la loro eliminazione e guarda caso, anziché eliminare questo genere di minaccia fiscale, è stato introdotto uno strumento ancor peggiore sostituito nel nome e ancor più complicato da mettere in pratica.

Proprio così, primo perché di fatto è sempre uno strumento che propone adeguamenti e promette certezza in controlli sostanziali; secondo perché  è  anche complicato da calcolare, imponendo ai professionisti e alle imprese di scaricare ulteriori dati dal cassetto fiscale, con mille problematiche di privacy e deleghe varie, unendole ai vari software operativi fiscali. Conteggi che nei primi mesi di esordio stentavano a quadrare nel lancio del calcolo tra software applicativi e software dell’agenzia delle entrate. Dopo diversi mesi sembra che la quadrature dei risultati sia stata raggiunta, ma ben oltre dopo i normali limiti di scadenza delle imposte.

Oltre all’aspetto fiscale possiamo citare anche i vari portali che riguardano gli enti locali, le regioni, le casse previdenziali e tanti altri. Per fare un esempio, una pratica di variazione di un acconciatore, con il cartaceo si compilava in 5 minuti e si consegnava in tre minuti. Con l’apposito portale dei comuni si impiega almeno una mezz’ora. Se  poi consideriamo pratiche più complesse si può arrivare anche ad un’ora contro 15 minuti del cartaceo. Indiscutibilmente il vantaggio c’è. Ma è unicamente dello Stato e degli enti locali che, tra l’altro, assumono sempre meno persone per fare lavori che ora vengono svolti gratis dall’ utenza o dai professionisti pagati dall’utenza. E proprio i professionisti hanno dovuto diversificare il loro lavoro al punto che i più piccoli non possono sostenere questa enorme diversificazione che li ha posti sul piedistallo della tuttologia dequalificante, a danno della loro stessa preparazione, avvilendo altresì gli sforzi e la dedizione degli stessi. Il risultato reale è che i grandi studi e le grandi strutture hanno gli strumenti  per far dedicare una buona parte del personale soltanto alla burocrazia e solo in quelle strutture il professionista può continuare a curare le sue materie, quelle per le quali, in passato, è stato formato da quello stesso sistema che ora ha rinnegato le stesse preparazioni, il modo di lavorare e il modo di rapportarsi umanamente con i propri clienti. Il piccolo è quindi destinato a sparire, più o meno come i piccoli negozi di vicinato e la piccola distribuzione. Destini simili, dunque, accomunati dalla scarsa dedizione della politica e dalla scarsa preparazione dei tecnocrati e burocrati digitali, distanti anni luce  dalla realtà economica che li circonda.

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