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Home » Italia » Multilateralismo in crisi

Multilateralismo in crisi

3 Agosto 2019

Riprendiamo e pubblichiamo un articolo di Giuseppe Fiorentino comparso sull’Osservatore Romano

A poco sono servite le rassicurazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e degli altri paesi firmatari circa il rispetto da parte dell’Iran dell’accordo sul nucleare faticosamente raggiunto nel 2015. Così, ad aprile dello scorso anno, il presidente statunitense Donald Trump ha sancito l’uscita dall’intesa fortemente voluta dal suo predecessore e alcuni mesi dopo, con l’immancabile tweet dai toni hollywoodiani, l’inquilino della Casa Bianca ha annunciato il varo di sanzioni contro la Repubblica islamica. «Sanctions are coming»: questo lo slogan che campeggiava sotto l’immagine di un accigliato Trump del quale tutto si può dire, ma non che somigli a qualche protagonista di Game of Thrones, la fortunata serie televisiva Hbo il cui motto, «Winter is coming», richiama direttamente la frase utilizzata dal presidente per notificare l’introduzione delle misure anti-iraniane.

Ma anche senza ricordare minimamente Jon Snow o Ned Stark, Donald Trump ha voluto con il suo tweet lanciare un messaggio di forza, usando inoltre una metafora televisiva molto popolare. È storia di queste settimane che Teheran, alle prese con le difficoltà economiche dovute alle sanzioni — che colpiscono tra gli altri il settore petrolifero — e in mancanza di un’efficace alternativa europea per favorire la prosecuzione degli scambi, ha ripreso la produzione di uranio arricchito. Ben poco resta quindi dell’accordo del 2015 e quel poco sembra molto difficile da salvare.

Ma il trattato sul nucleare iraniano è solo una delle tante intese recentemente ricusate dall’amministrazione statunitense. Sotto la guida di Trump, gli Stati Uniti sono usciti ad esempio dal Global Compact dell’Onu per una migrazione sicura, ordinata e regolare e dall’accordo di Parigi sul clima, e hanno abbandonato organismi quali il Consiglio dell’Onu per i diritti umani e l’Unesco. Altre intese commerciali regionali, oltre a quelle transpacifiche e transatlantiche, sono state sospese o congelate. L’amministrazione statunitense in questo momento sembra quindi rinunciare al multilateralismo nella risoluzione delle controversie, ma anche nella definizione di nuovi accordi, a favore di un approccio bilaterale. Così è avvenuto per il trattato di libero scambio con Canada e Messico, il Nafta, accantonato per sottoscrivere singoli patti con quei paesi. Anche la guerra dei dazi messa in atto soprattutto con la Cina lascia intendere che gestire congiuntamente questioni internazionali non costituisce una priorità. Lo si è capito dal documento diffuso al termine del recente g20 di Osaka, un testo che, secondo alcuni osservatori, riconosce la grave crisi attraversata dal multilateralismo, ammettendo che «le tensioni commerciali e geopolitiche si sono intensificate», ma senza individuare le soluzioni per rispondere a queste pericolose dinamiche.

Il preoccupante stato in cui versa oggi il multilateralismo è diretta conseguenza di quell’America first di cui Trump ha fatto il suo cavallo di battaglia elettorale, come reazione diretta alle storture della globalizzazione. È giusto ricordare che Trump è stato eletto anche perché ha promesso di accogliere le istanze di quel ceto produttivo depauperato dalla delocalizzazione delle imprese, avvenuta soprattutto per risparmiare sulla mano d’opera. Ma sta di fatto che invece di cercare, insieme, di individuare strumenti per governare e regolamentare la globalizzazione, si preferisce ora ricorrere a trattative “private” in cui far valere tutta la propria forza, perché svincolate dal contesto di quegli organismi internazionali dove le regole dovrebbero valere per tutti. Un accordo bilaterale è soprattutto vantaggioso per chi, in nome del suo potere economico e militare, può dettare le condizioni. E ogni intesa così raggiunta può essere propagandata come un successo da giocare poi in chiave elettorale, magari con un nuovo tweet, molto popolare, dal sapore hollywoodiano.

Sarebbe tuttavia opportuno chiedersi se la legge del più forte sia davvero la regola su cui basare le relazioni internazionali. Certo la storia, quella maestra di vita che ha ben pochi allievi, come ha recentemente sottolineato Papa Francesco, citando il gesuita Giacomo Martina, troppo spesso ci racconta di violenze e di sopraffazioni. Ma è anche vero che la comunità internazionale si è dotata di istituzioni basate sul multilateralismo proprio nel tentativo di arginare la tentazione di far prevalere la potenza a scapito del diritto. Non è sicuramente un caso che oggi il valore di quelle istituzioni sia fortemente messo in discussione. Ma negare legittimità alle organizzazioni internazionali che imbrigliano la volontà di potere, in prospettiva è pericoloso per tutti. Come ha spesso ricordato il Papa, il mondo è già alle prese con un guerra mondiale combattuta a pezzi. E a volere imporre a ogni costo la propria forza si rischia alla lunga di aprire scenari di conflitto in cui non ci saranno vincitori, ma solo sconfitti.

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