Oltre 100 finanzieri impegnati per sgominare un’organizzazione clandestina, con ben 56 componenti di origine senegalese, dedita alla contraffazione di capi firmati e più di 7.450 capi contraffatti sequestrati
Sono questi i numeri dell’operazione messa in piedi alle prime luce dell’alba dalla Guardia di finanza del Comando provinciale di Viterbo. I finanzieri hanno eseguito 30 perquisizioni tra Viterbo, Canino, Tarquinia, Montalto di Castro, Montefiascone e Civitavecchia, portando alla luce un’organizzazione di senegalesi che falsificavano alcune delle griffe più note sul mercato, tra le quali Adidas, Burberry, Roberto Cavalli, Chanel, Dolce & Gabbana, Gucci, Harmont & Blaine, Hogan, Nike, ecc. I prodotti contraffatti venivano poi venduti in tutta la provincia di Viterbo, a partire dal litorale fino alla zona del lago di Bolsena, nonché nel capoluogo.
L’operazione è nata dalla scoperta di una fabbrica clandestina in un appartamento di Tarquinia Lido, da cui si è risaliti alla banda dei senegalesi. L’organizzazione è stata ricostruita grazie ad una complessa attività di esame di tutte le conversazioni e chat effettuate tramite sms e soprattutto WhatsApp rinvenute all’interno dei telefoni cellulari sequestrati nell’opificio di Tarquinia. In particolare, gli indagati avevano creato un gruppo WhatsApp con cui si scambiavano informazioni e notizie, si davano appuntamenti, si assegnavano le zone dove andare a vendere i prodotti contraffatti e si davano consigli su come comportarsi in caso di controlli da parte delle forze dell’ordine.
I senegalesi, per eludere le investigazioni e per evitare di essere intercettati, parlavano esclusivamente un dialetto senegalese (il wolof) difficile da capire e tradurre, non solo per la complessità linguistica, ma anche per la difficoltà per le forze di polizia a reperire un interprete idoneo ed affidabile. Ad ogni componente dell’organizzazione era affidato uno specifico ruolo: taluni avevano il compito di assemblare il materiale contraffatto; altri quello di provvedere alla distribuzione e alla vendita al dettaglio; altri ancora quello da fungere da vedette per avvisare gli addetti allo smercio dell’arrivo delle forze dell’ordine con l’uso di appositi codici comunicativi criptati.
Via chat veniva, inoltre, svolto anche il commercio dei prodotti illegali: numerosi acquirenti italiani, molti dei quali già identificati, ordinavano la merce agli extracomunitari inviando a loro la foto del prodotto griffato appena immesso sul mercato ed i destinatari subito si prodigavano per reperirlo e consegnarlo direttamente al domicilio.
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