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Home » Italia » In caso di crisi, il Pd non invochi le elezioni

In caso di crisi, il Pd non invochi le elezioni

27 Luglio 2019

Riprendiamo e pubblichiamo da huffingtonpost.it un articolo di Giuseppe Fioroni

di Giuseppe Fioroni

Si è aperta una fase nuova e di questo dobbiamo prendere atto. Dietro la vicenda legata ai traffici moscoviti si coglie una nota di spregiudicatezza dell’attuale compagine di governo. Il Presidente del Consiglio, nel dibattito al Senato, ha messo in chiaro il comportamento scorretto del ministro dell’Interno. In pratica, sulla base delle dichiarazioni rese all’indomani delle clamorose notizie sul ruolo di Savoini, si evince che il leader della Lega ha mentito. Non si può negare, dunque, la legittimità sostanziale della mozione di sfiducia presentata dal Partito democratico.

Vedremo come andrà a finire. Salvini, in ogni caso, uscirà indebolito dal voto e la sua credibilità morale e politica è stata compromessa. Che la Lega accetti una leadership segnata dalla mendacità, è questione di pertinenza degli iscritti e dei dirigenti di quel partito; invece, che il governo della Repubblica contempli al suo interno una tale figura, interessa la comunità nazionale nel suo complesso. Si tratta di una pericolosa involuzione che danneggia i connotati etici nostra democrazia.

D’altra parte, come pure è stato notato da tutti i commentatori politici, il Presidente del Consiglio ha fatto chiaramente intendere che un’eventuale crisi di governo non si risolverà con l’immediato scioglimento delle Camere e il conseguente ricorso alle elezioni anticipate. Ciò significa che soggiace al dibattito in corso l’ipotesi della formazione di un governo di tregua o di garanzia, dal momento che non può essere questo Esecutivo – con questo ministro dell’Interno – a guidare il Paese nella delicata fase pre-elettorale. Dunque, il Paese dovrebbe affrontare con ordine, anzitutto con la messa in sicurezza dei conti pubblici, l’eventuale e non del tutto improbabile crisi di governo.

Il Partito democratico, dinanzi a uno scenario che si annuncia così complesso, ha il dovere di esercitare il massimo della responsabilità. Se anche il governo dovesse reggere, questa caratura di opposizione seria e responsabile, capace di guardare agli interessi generali del Paese, servirebbe a trasmettere un messaggio positivo a un elettorato perlopiù smarrito e nondimeno disilluso. Invocare tout court le elezioni dà il senso, al contrario, di un cedimento alla propaganda. 

E poi, come andare alle elezioni senza un nuovo schema di riferimento, senza aver definito, cioè, le forme e i contenuti di un’alleanza politica alternativa? Ed essa, infine, non dovrebbe tener conto degli atteggiamenti diversificati o contrapposti, qualora si dovesse scomporre l’attuale assetto di governo? Ancora fatica a emergere nel Partito democratico una proposta capace di favorire l’aggregazione di forze disponibili a mettersi in gioco, con coraggio, per drenare quanto più possibile il fondale dell’astensionismo e invertire il ciclo dell’affidamento alla suggestione della contropolitica.

Certo, l’indicazione di una “costituente delle idee”, così come Zingaretti suggerisce, va incontro a questa esigenza di rifondazione del nostro progetto. Ma il nodo, a riguardo, non sta nell’adesione o nel rifiuto di tale costituente: di per sé, dentro o fuori i confini di partito, trova consensi decisamente ampi. Semmai il nodo vero consiste nel prefigurare un sano pluralismo di contributi e propositi, al fine di evitare l’omologazione attorno a un “ceppo ideologico” che potrebbe conservare gli stilemi, le fobie, il retaggio di una vecchia sinistra, italiana ed europea, malata di egemonismo. Non sarebbe il viatico giusto per una battaglia concepita in funzione di nuove aperture e nuovi coinvolgimenti, per restituire quindi speranza all’Italia che non si rassegna a un potere arrogante e inconcludente.

Ragionare sul futuro è l’arma migliore per non perdersi in un’opposizione autoreferenziale, persuasa delle proprie convinzioni di parte

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