Una classica commedia dell’antica Roma, l’“Anfitrione” di Plauto, in scena a Ferento venerdì 26 luglio (ore 21,15), nell’antico teatro romano. Interpreti del capolavoro, per la regia di Livio Galassi, saranno Franco Oppini e Debora Caprioglio. Per quest’ultima si tratta di un gradito ritorno, dopo la splendida interpretazione offerta lo scorso anno in “Callas d’incanto”.
“Questa volta dall’Olimpo- scrive Livio Galassi nelle note di regia – scendono sul palco gli dei a divertirci e coinvolgerci con la spudorata beffa che solo una divina perversione può escogitare, a danno dell’ignaro Anfitrione di cui Giove ha preso l’aspetto per sostituirsi a lui nel talamo nuziale accanto alla bella Alcmena; protetto dalla sadica complicità di Mercurio che ha assunto le sembianze del servo Sosia. E quando Anfitrione ritorna vittorioso dalla guerra si scatena la sbrigliata fantasia di Plauto, magistralmente esaltata dal gioco dei doppi, degli equivoci, dello smarrimento di identità, che ci conduce a contemporanee alienazioni. La trama si complica, si contorce, si arrovella fino al più esilarante, inestricabile parossismo che solo il “deus ex-machina” riuscirà felicemente a dipanare. A questo “Anfitrione” – dichiara il regista – mi accosto con lo stesso spirito con cui ho curato i precedenti: rispetto del testo plautino – fanno eccezione, naturalmente, la riscrittura pasoliniana de “Il vantone” e quella partenopea de “I Menecmi” di Tato Russo – , ricostruzione delle sue pirotecniche lessicali reinventando – per quanto possibile – le sue godibili sonorità, uno snellimento della trama a favore di una più diretta comunicativa, un dinamismo gestuale e recitativo che ripercorre le feconde intuizioni che, nate da Plauto, attraverso la Commedia dell’arte sono giunte fino a noi. Uno scoglio non da poco la perdita di circa trecento versi, e nel momento più significativo della commedia: l’incontro dei due Anfitrioni. Aggrappandomi agli sporadici frammenti, mi sono applicato a intuire, più che nuovi dialoghi, l’esilarante alienazione che può nascere dall’incontro di tutti i doppi: quindi pochi efficaci dialoghi in funzione dell’analisi psicologica, della mimica, delle attese del pubblico, a descrivere teatralmente uno smarrimento di identità collettivo – purtroppo perduto. Sottolineo infine – conclude Galassi – il cinico gioco di potere “di chi può”, che getta scompiglio e rovina nei destini umani; in Plauto tutto si risolve felicemente, nella vita invece…”.