Si è svolto nel pomeriggio il Consiglio straordinario sulle sostanze chimiche inquinanti. Molti, e tutti estremamente qualificati, gli esperti del settore giunti a Viterbo per fare il punto su fitofarmaci, arsenico e radon, e soprattutto per illustrare i dati scientifici più aggiornati su questo tipo di inquinamento in provincia di Viterbo. Ad introdurre i lavori chi questo Consiglio lo ha fortemente voluto: Luisa Ciambella, capogruppo del Partito democratico.
“E’ un Consiglio – ha detto l’ex vicesindaco – di studio e ascolto, che ha come obiettivo quello di indicare la via alle istituzioni per intraprendere, se necessario, azioni concrete a tutela della salute. L’idea non è di andare a cercare colpevoli, ma di salvaguardare tutti”.
Il dato più significativo – che mostra come non si debba assolutamente dormire sonni tranquilli, e quindi che è arrivato il momento di intraprendere iniziative per la salute di tutti noi – è stato quello illustrato dal rappresentante dell’Istituto superiore per la tutela ambientale (Ispra): “Dalla campionatura – ha detto – emerge che il 90% delle acque superficiali risulta inquinato e almeno un terzo di quelle sotterranee presenta pesticidi. Trovate addirittura tracce di sostanze tolte dal commercio negli anni ’80. Questo perché nelle falde profonde esse non degradano”. “L’inquinamento delle acque legato ai pesticidi – ha continuato – è di difficile interpretazione perché esistono in commercio almeno 120.000 tipi di questi veleni e non tutti sono legati all’agricoltura. Molti, anche inconsapevolmente, li utilizziamo nella vita di tutti i giorni”. La sua conclusione: “Posto che gli studi sullo stato di salute delle acque nel Viterbese sono aumentati molto negli anni e che c’è una maggiore attenzione nei confronti di queste sostanze, si fa tuttavia ancora troppo poco”.
Intervenuta anche Angelita Brustolin, responsabile scientifico del Registro tumori della provincia di Viterbo. I dati su questo tipo di malattie, ha spiegato, sono in linea con le statistiche nazionali, ma ciò non significa che non vi siano fattori inquinanti che incidano negativamente sulla salute umana. Quindi, è stata la volta della collega Daniela D’Ippolito, epidemiologia ambientale della Regione Lazio, che, parlando dell’arsenico nelle nostre acque, ha fatto il punto sui parametri fissati dalla normativa vigente in Italia, la quale colloca la potabilità a 20 microgrammi per litro, una valore però che non da sicurezza. Infatti, ha aggiunto, “la scienza non sa definire se esiste un parametro sotto il quale si è sicuri che non ci siano ricadute sulla salute umana. Basti guardare gli studi campione effettuati in alcuni comuni della Tuscia, dove la concentrazione di arsenico è superiore ai limiti fissati dalla normativa. Qui le incidenze delle malattie tumorali aumentano dell’80%”.
A conclusione dei lavori è intervenuto Umberto Moscato dell’Istituto sanità pubblica dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma: “Anche ai farmaci fitosanitari – ha detto – va applicato lo stesso criterio usato per l’arsenico: non esiste, infatti, una soglia sotto la quale possiamo definirci al sicuro. Sopratutto, è difficile stabilire il nesso preciso tra causa ed effetto, ovvero tra agente inquinante e malattia. In presenza di una patologia è impossibile determinare se a far male è stato questo o quello. Spesso i fattori sono molteplici”. “I primi ad essere colpiti – ha continuato – sono i bambini che hanno ancora una struttura fragile e in evoluzione. E’ dunque indispensabile non utilizzare fitofarmaci vicino alle scuole e nei parchi pubblici. Ma questo non vuol dire che bisogna negarne del tutto l’utilizzo: così facendo si rischia di mettere in ginocchio tutto il settore agricolo”. “Bisogna spiegare ed istruire – ha concluso – perché il primo passo da fare, prima ancora della cura, è la prevenzione. E la Tuscia, dato che l’inquinamento è ancora contenuto, se si muove in tempo può diventare capofila in fatto di prevenzione ambientale”.