“Anche nell’Alto Lazio e in particolare per i bacini lacustri di Bolsena, Bracciano e Vico dovrebbero essere posti in essere interventi tesi a preservare gli ecosistemi di questi laghi e quindi le caratteristiche di idropotabilità delle loro acque che riforniscono acquedotti di diversi comuni del Viterbese e per quanto riguarda Bracciano anche il Comune di Roma”.
E’ l’appello che lancia l’Associazione medici per l’ambiente – Isde in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, che si celebra il 22 marzo. “Purtroppo – proseguono gli esperti di Isde – dobbiamo tornare a chiedere una maggiore attenzione ed impegno da parte delle istituzioni e degli enti preposti circa le condizioni critiche in cui versano i tre laghi dell’Alto Lazio per diverse situazioni che vanno dall’eccessiva captazione, come per il lago di Bracciano, fino ai fenomeni di inquinamento per inefficienza di sistemi di depurazione e a causa di attività antropiche circumlacuali e in particolare per le coltivazioni intensive delle nocciole come per il lago di Vico e come potrebbe accadere a breve anche per il lago di Bolsena”.
Il tema dei danni al paesaggio, agli ecosistemi lacustri, alla qualità delle acque e quindi alla salute delle persone e più in generale all’ambiente è stato affrontato la scorsa settimana in un convegno dal titolo molto evocativo “I noccioli del problema”, svoltosi ad Orvieto. In questa occasione la dottoressa Antonella Litta, referente dell’Associazione medici per l’ambiente, è intervenuta sul tema: “Tutelare l’ambiente per tutelare la salute: il caso di studio del lago di Vico”. La dottoressa Litta ha esposto le cause che hanno portato al grave degrado e all’inquinamento del lago di Vico e che hanno privato da anni della possibilità di un approvvigionamento sicuro e salubre di acque captate dal lago le popolazioni di Caprarola e Ronciglione.
Nella sua relazione, la referente dell’Isde ha ripercorso anche le drammatiche quanto emblematiche storie di altri bacini lacustri evidenziando “la necessità di un rapido abbandono dell’agricoltura intensiva e chimica in favore di una agricoltura senza pesticidi, più sana, naturale, ecologica, rispettosa cioè della composizione e della vitalità dei suoli, della biodiversità e non asservita alle logiche di sfruttamento e profitto delle monocolture. Un’agricoltura che non contribuisca ai cambiamenti climatici come fa invece l’agricoltura intensiva e le monocolture, un’agricoltura quindi che non inquini l’aria, l’acqua e il cibo; una agricoltura che sappia riappropriarsi delle conoscenze e dei saperi acquisiti nel corso dei millenni di storia umana, ricominciando a produrre rispettando i naturali cicli della terra e insieme la dignità del lavoro, tutelando così l’ambiente e la salute di tutti a cominciare proprio da quella degli agricoltori e delle loro famiglie”.