Analisi gratis per amici e parenti, saltando prenotazioni e code, al reparto di medicina protetta dell’ospedale di Belcolle. 315 i presunti casi scoperti dalle Fiamme gialle e 170 le presunte persone che avrebbero usufruito delle illecite prestazioni, tra cui personale medico e dipendenti pubblici. Si tratta di un fenomeno circoscritto, come si è affrettata a chiarire la Asl tramite un comunicato stampa, o c’è dell’altro? Ci sono altri reparti in cui potrebbero essersi verificati fatti simili?
Di sicuro, le rassicurazioni della Asl in questa fase servono a poco, anche perché da tutte queste storie di malasanità (ora i ticket non pagati, ieri l’assenteismo scoperto presso il servizio immunologico) emerge una certa “debolezza” (chiamiamola così) dell’azienda, che evidentemente non ha messo in atto alcun sistema volto a prevenire alla base la consumazione di truffe ai danni del sistema sanitario. Come detto ieri, non ci si può sempre affidare all’intervento delle forze dell’ordine. Sarebbe piuttosto il caso che si studiassero e si mettessero in atto procedure in grado di bloccare sul nascere i furbetti o capaci di controllare e quindi debellare dall’interno chi si approfitta della propria posizione.
Dunque, c’è dell’altro? L’inchiesta è destinata ad allargarsi? Probabilmente sì, se è vero che lo scandalo scoppiato l’altro giorno con la denuncia del dirigente Giulio Starnini e di un addetto del reparto non è nato per caso: le indagini condotte dalla Guardia di finanza e coordinate dalla pm Paola Conti avrebbero infatti preso spunto proprio dall’inchiesta sui “furbetti del cartellino” del servizio immunologico, sfociata in 23 indagati ad inizio 2017.
E pensare che l’unità operativa di medicina protetta di Belcolle può ospitare sia detenuti di Mammagialla che di altre carceri italiane, in sinergia con l’unità di medicina protetta del Sandro Pertini di Roma. Un fiore all’occhiello di Belcolle, si è sempre detto. E così è stato fino a quando non è intervenuta la Finanza.